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FdC 85 – Il pensiero eucaristico del mese… di S. Veronica Giuliani

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COME I SACERDOTI NON IMPAZZISCONO  –  LA COMUNIONE SPIRITUALE
Dal DIARIO DI S. VERONICA GIULIANA. UN TESORO NASCOSTO

[I.84] Ogni volta che mi comunicavo, sentivo accendermi il desiderio di volere quanto prima comunicarmi di nuovo, e facevo detta Comunione per ringraziamento della medesima, e l'applicavo per preparazione per la Comunione che dovevo fare tra pochi giorni. La notte avanti di comunicarmi, non era pericolo di poter riposare. Tutta la notte la passavo in orazione, in penitenze e stavo un poco, e invitavo il Signore. Oh! Dio! Delle volte con questi inviti facevo poi bene spesso le comunioni spirituali e vi sentivo tal gusto e tali effetti, come fossi stata comunicata corporalmente. Appena lo chiamavo che subito lo sentivo dentro del cuore. Io non capisco e non potevo comprendere come potevate fare voi sacerdoti a tenere quel Dio fra le vostri mani e non impazzire d'amore.  Questo solo pensiero facevami uscire di me. Molte volte ne avevo così ardente desiderio e lo dicevo al confessore; ma esso, che doveva conoscere che non fosse puro desiderio, mi privava della Comunione; ed io lo sentivo e non poco*. Offerivo a Dio quell'atto di obbedienza. Così restavo con pace come se fossi comunicata. Più volte, nell'atto che stavo per comunicarmi il confessore mi discacciava, perché doveva forse vedere che non ero preparata a ciò. Ed in effetti facevo un poco riflessione, e conoscevo che non ero degna di tal grazia. Ma oh! Dio! quanto mi dispiacesse per altro canto non posso con la penna spiegarlo. Bensì che tanto ero contenta, perché facevo quell'atto di obbedienza. E qualche volta, dopo che il confessore mi aveva così scacciata e non voleva darmi la santa Comunione, la facevo spiritualmente ed il Signore mi si comunicava come se l'avessi fatta corporalmente. Si faceva sentire e dicevami: Mia cara, io ho avuto sommo gusto di questo tuo disgusto. Ma sta posata, ché son venuto da te. Mi faceva capire per via di comunicazione che, se io volevo stare tutta disposta al suo volere, stessi morta a quanto mi comandava chi stava in suo luogo. Nell'obbedienza pronta facevo la sua volontà.

[I.6] Di questo divin Sacramento avrei voluto che tutti ragionassero, acciò una volta avessero ben penetrato questa grande invenzione di amore che ha trovato Iddio per restare con noi per cibo delle anime nostre, a nostro pro! Oh! Dio! È un punto che fa impazzire il sol pensarci. Oh! pensate chi lo riceve con sentimento! E chi con vero sentimento lo tiene nelle mani come voialtri sacerdoti! Io penso che non siate in voi in quell'atto della consacrazione, oppure vi sentiate mutati in un Dio medesimo. Son dell'avviso che diveniate come fuoco, e, tenendo fra le mani il divino amore, penso che abbruciate tutti, e che non possiate spiegare con parole quanto in quel punto fa ed opera il divino facitore nelle anime vostre.

Io delle volte fra me faccio un poco di discorso, e vado pensando che, se davvero ci pensassimo a questa opera divina, certo che si impazzirebbe per la veemenza e forza che dà un tanto amore. Oh! Dio! Il nostro cuore diviene tempo della Santissima Trinità. Si può dire di esso in quell'atto della Comunione: Ave templium totius Trinitatis [Ave, o tempio di tutta la Trinità]. Quello che mente umana non può capire, viene ad intrinsecarsi ed unirsi colle anime nostre, e farsi una stessa cosa con noi. E chi mai non si risolverà ad amare chi tanto ci benefica e ci ama? E come si ha da fare per riposare la notte avanti, chi pensa a ciò? Io non credo che si abbia voglia del riposo del corpo, ma che tutti i nostri pensieri siano, come si può fare per prepararsi ad un tanto bene. Io pe me credo che voialtri sacerdoti non dormite mai né possiate cibarvi d'altro cibo che di cose spirituali. Credo che qui solo troviate il vostro sostentamento, e questo divinissimo cibo del Sacramento sia a tuti voi sostentamento vitale, che non gustiate altro. E mi pare anche a me, ché il giorno di Comunione non ho bisogno d'altro cibo. Se pure piglio un boccone di pane, lo faccio per non dare ammirazione e per obbedire: del resto non ho bisogno di altro cibo. E questo che dico ora, è un pezzo che mi sento così, ed è anche di presente lo provo. Con tuttoché mi trovo nello stato che loro sanno, tanto il divino Sacramento mi fa quanto qui dico. Non sto a dire altro, perché sopra questo sol punto vi vorrebbero fogli sopra fogli per raccontare tutto quello che esso divino amore fa colle anime nostre in questo divino mistero. Ho detto queste quattro parole: non mi sono accorta d'aver detto ciò, e non so come mi siano entrate in questo racconto. Sia tutto a gloria di Dio e per adempire il suo santo volere

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* A quei tempi non era concessa la partecipazione quotidiana all'Eucaristia.

Clicca qui se vuoi leggere altri testi di S. Veronica Giuliani

 

 

 

FdC 85 – La nuova evangelizzazione… una stupenda omelia di Benedetto XVI

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5bOMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI AI VESCOVI SVIZZERI 7 /11/2006
(Martedì della XXXI Settimana T.O. Anno pari  – Fil 2,5-11 – Sal 21 – Mt 11,28 – Lc 14,15-24)

Cari confratelli,

i testi appena ascoltati – la Lettura, il Salmo responsoriale e il Vangelo – hanno un tema comune che potrebbe essere riassunto nella frase: Dio non fallisce. O più esattamente: inizialmente Dio fallisce sempre, lascia esistere la libertà dell’uomo, e questa dice continuamente “no”. Ma la fantasia di Dio, la forza creatrice del suo amore è più grande del “no” umano. Con ogni “no” umano viene dispensata una nuova dimensione del suo amore, ed Egli trova una via nuova, più grande, per realizzare il suo sì all’uomo, alla sua storia e alla creazione. Nel grande inno a Cristo della Lettera ai Filippesi con cui abbiamo iniziato, ascoltiamo innanzitutto un’allusione alla storia di Adamo, il quale non era soddisfatto dell’amicizia con Dio; era troppo poco per lui, volendo essere lui stesso un dio. Considerò l’amicizia una dipendenza e si ritenne un dio, come se egli potesse esistere da sé soltanto. Perciò disse “no” per diventare egli stesso un dio, e proprio in tal modo si buttò giù lui stesso dalla sua altezza. Dio “fallisce” in Adamo – e così apparentemente nel corso di tutta la storia. Ma Dio non fallisce, poiché ora diventa lui stesso uomo e ricomincia così una nuova umanità; radica l’essere Dio nell’essere uomo in modo irrevocabile e scende fino agli abissi più profondi dell’essere uomo; si abbassa fino alla croce. Vince la superbia con l’umiltà e con l’obbedienza della croce.

E così ora avviene ciò che Isaia, cap. 45, aveva profetizzato. All’epoca in cui Israele era in esilio ed era scomparso dalla cartina geografica, il profeta aveva predetto che il mondo intero – “ogni ginocchio” – si sarebbe piegato dinanzi a questo Dio impotente. E la Lettera ai Filippesi lo conferma: Ora ciò è accaduto. Per mezzo della croce di Cristo, Dio si è avvicinato alle genti, è uscito da Israele ed è diventato il Dio del mondo. E ora il cosmo piega le ginocchia dinanzi a Gesù Cristo, cosa che anche noi oggi possiamo sperimentare in modo meraviglioso: in tutti i continenti, fino alle più umili capanne, il Crocifisso è presente. Il Dio che aveva “fallito”, ora, attraverso il suo amore, porta davvero l’uomo a piegare le ginocchia, e così vince il mondo con il suo amore.

Come Salmo responsoriale abbiamo cantato la seconda parte del Salmo della passione 21/22. È il Salmo del giusto sofferente, prima di tutto di Israele sofferente che, dinanzi al Dio muto che lo ha abbandonato, grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Come hai potuto dimenticarmi? Ora quasi non ci sono più. Tu non agisci più, non parli più… Perché mi hai abbandonato?”. Gesù si identifica con l’Israele sofferente, con i giusti sofferenti di ogni tempo abbandonati da Dio, e porta il grido dell’abbandono di Dio, la sofferenza dell’essere dimenticato lo porta su fino al cuore di Dio stesso, e trasforma così il mondo. La seconda parte del Salmo, quella che abbiamo recitato, ci dice che cosa ne deriva: I poveri mangeranno e saranno saziati. È l’eucaristia universale che proviene dalla croce. Ora Dio sazia gli uomini in tutto il mondo, i poveri che hanno bisogno di lui. Egli dà loro la sazietà di cui hanno bisogno: dona Dio, dona se stesso. E poi il Salmo dice: “Torneranno al Signore tutti i confini della terra”. Dalla croce deriva la Chiesa universale. Dio va oltre l’ebraismo e abbraccia il mondo intero per unirlo nel banchetto dei poveri.

E, infine, il messaggio del Vangelo. Di nuovo il fallimento di Dio. Coloro che sono stati invitati per primi disdicono, non vengono. La sala di Dio rimane vuota, il banchetto sembra essere stato preparato invano. È ciò che Gesù sperimenta nella fase finale della sua attività: i gruppi ufficiali, autorevoli dicono “no” all’invito di Dio, che è Lui stesso. Non vengono. Il suo messaggio, la sua chiamata finisce nel “no” degli uomini. E però anche qui: Dio non fallisce. La sala vuota diventa un’opportunità per chiamare un maggior numero di persone. L’amore di Dio, l’invito di Dio si allarga – Luca ci racconta questo in due ondate: Prima, l’invito è rivolto ai poveri, agli abbandonati, a quelli non invitati da nessuno nella stessa città. In tal modo Dio fa ciò che abbiamo sentito nel Vangelo ieri. (Il Vangelo di oggi fa parte di un piccolo simposio nel quadro di una cena presso un fariseo. Troviamo quattro testi: prima la guarigione dell’idropico, poi la parola sugli ultimi posti, poi l’insegnamento di non invitare gli amici i quali contraccambierebbero tale gesto, ma coloro che hanno davvero fame, i quali, però, non possono contraccambiare l’invito, e poi, appunto, segue il nostro racconto). Dio ora fa ciò che ha detto al fariseo: Egli invita coloro che non possiedono nulla; che hanno davvero fame, che non possono invitarlo, che non possono dargli nulla. E poi avviene la secondo ondata. Esce fuori dalla città, nelle strade di campagna; sono invitati i senza dimora. Possiamo supporre che Luca abbia inteso queste due ondate nel senso che primi ad entrare nella sala sono i poveri d’Israele e dopo – poiché non sono sufficienti, essendo l’ambiente di Dio più grande – l’invito si estende al di fuori della Città Santa verso il mondo delle genti.

Coloro che non appartengono affatto a Dio, che stanno fuori, vengono ora invitati per riempire la sala. E Luca che ci ha tramandato questo Vangelo, in ciò ha visto sicuramente la rappresentazione anticipata in modo immaginifico degli avvenimenti che poi narra negli Atti degli Apostoli, dove proprio ciò accade: Paolo inizia la sua missione sempre nella sinagoga, da quanti sono stati invitati per primi, e solo quando le persone autorevoli hanno disdetto ed è rimasto soltanto un piccolo gruppo di poveri, egli esce fuori verso i pagani. Così il Vangelo, attraverso questo percorso di crocifissione sempre nuovo, diventa universale, afferra il tutto, finalmente fino a Roma. A Roma Paolo chiama a sé i capi della sinagoga, annuncia loro il mistero di Gesù Cristo, il Regno di Dio nella persona di Lui. Ma le parti autorevoli disdicono, ed egli si congeda da loro con queste parole: Ebbene, poiché non ascoltate, questo messaggio viene annunziato ai pagani ed essi l’ascolteranno. Con tale fiducia si conclude il messaggio del fallimento: Essi ascolteranno; la Chiesa dei pagani si formerà. E si è formata e continua a formarsi. Durante le visite ad limina* sento parlare di molte cose gravi e faticose, ma sempre – proprio dal Terzo Mondo – sento anche questo: che gli uomini ascoltano, che essi vengono, che anch’oggi il messaggio giunge per le strade fino ai confini della terra e che gli uomini affluiscono nella sala di Dio, al suo banchetto.

Dovremmo quindi domandarci: Che cosa tutto ciò significa per noi? Innanzitutto significa una certezza: Dio non fallisce. “Fallisce” continuamente, ma proprio per questo non fallisce, perché ne trae nuove opportunità di misericordia più grande, e la sua fantasia è inesauribile. Non fallisce perché trova sempre nuovi modi per raggiungere gli uomini e per aprire di più la sua grande casa, affinché si riempia del tutto. Non fallisce perché non si sottrae alla prospettiva di sollecitare gli uomini perché vengano a sedersi alla sua mensa, a prendere il cibo dei poveri, nel quale viene offerto il dono prezioso, Dio stesso. Dio non fallisce, nemmeno oggi. Anche se sperimentiamo tanti “no”, possiamo esserne certi. Da tutta questa storia di Dio, a partire da Adamo, possiamo concludere: Egli non fallisce. Anche oggi troverà nuove vie per chiamare gli uomini e vuole avere con sé noi come suoi messaggeri e suoi servitori.

Proprio nel nostro tempo conosciamo molto bene il “dire no” di quanti sono stati invitati per primi. In effetti, la cristianità occidentale, cioè i nuovi “primi invitati”, ora in gran parte disdicono, non hanno tempo per venire dal Signore. Conosciamo le chiese che diventano sempre più vuote, i seminari che continuano a svuotarsi, le case religiose che sono sempre più vuote; conosciamo tutte le forme nelle quali si presenta questo “no, ho altre cose importanti da fare”. E ci spaventa e ci sconvolge l’essere testimoni di questo scusarsi e disdire dei primi invitati, che in realtà dovrebbero conoscere la grandezza dell’invito e dovrebbero sentirsi spinti da quella parte. Che cosa dobbiamo fare?

Innanzitutto dobbiamo porci la domanda: perché accade proprio così? Nella sua parabola il Signore cita due motivi: il possesso e i rapporti umani, che coinvolgono talmente le persone che esse ritengono di non avere più bisogno di altro per riempire totalmente il loro tempo e quindi la loro esistenza interiore. San Gregorio Magno nella sua esposizione di questo testo ha cercato di andare più a fondo e si è domandato: ma com’è possibile che un uomo dica “no” a ciò che vi è di più grande; che non abbia tempo per ciò che è più importante; che chiuda in se stesso la propria esistenza? E risponde: In realtà, non hanno mai fatto l’esperienza di Dio; non hanno mai preso “gusto” di Dio; non hanno mai sperimentato quanto sia delizioso essere “toccati” da Dio! Manca loro questo “contatto” – e con ciò il “gusto di Dio”. E solo se noi, per così dire, lo gustiamo, solo allora veniamo al banchetto. San Gregorio cita il Salmo, dal quale è tratta l’odierna Antifona alla Comunione: Gustate ed assaggiate e vedete; assaggiate ed allora vedrete e sarete illuminati! Il nostro compito è di aiutare affinché le persone possano assaggiare, affinché possano sentire di nuovo il gusto di Dio.

In un’altra omelia San Gregorio Magno ha ulteriormente approfondito la stessa questione, e si è domandato: Come mai avviene che l’uomo non vuole nemmeno “assaggiare” Dio? E risponde: Quando l’uomo è occupato interamente col suo mondo, con le cose materiali, con ciò che può fare, con tutto ciò che è fattibile e che gli porta successo, con tutto ciò che può produrre o comprendere da se stesso, allora la sua capacità di percezione nei confronti di Dio s’indebolisce, l’organo volto a Dio deperisce, diventa incapace di percepire ed insensibile. Egli non percepisce più il Divino, perché il corrispondente organo in lui si è inaridito, non si è più sviluppato. Quando utilizza troppo tutti gli altri organi, quelli empirici, allora può accadere che proprio il senso di Dio si appiattisca; che questo organo muoia; e che l’uomo, come dice San Gregorio, non percepisca più lo sguardo di Dio, l’essere guardato da Lui – questa cosa preziosa che è il fatto che il suo sguardo mi tocchi!

Ritengo che San Gregorio Magno abbia descritto esattamente la situazione del nostro tempo – in effetti, era un’epoca molto simile alla nostra.

E ancora sorge la domanda: che cosa dobbiamo fare? Ritengo che la prima cosa sia quella che il Signore ci dice oggi nella Prima Lettura e che San Paolo grida a noi a nome di Dio: “Abbiate gli stessi sentimenti di Gesù Cristo! Touto phroneite en hymin ho kai en Christo Iesou”. Imparate a pensare come ha pensato Cristo, imparate a pensare con Lui! E questo pensare non è solo quello dell’intelletto, ma anche un pensare del cuore. Noi impariamo i sentimenti di Gesù Cristo quando impariamo a pensare con Lui e quindi, quando impariamo a pensare anche al suo fallimento e al suo attraversare il fallimento, l’accrescersi del suo amore nel fallimento. Se entriamo in questi suoi sentimenti, se incominciamo ad esercitarci a pensare come Lui e con Lui, allora si risveglia in noi la gioia verso Dio, la fiducia che Egli è comunque il più forte; sì, possiamo dire, si risveglia in noi l’amore per Lui. Sentiamo quanto è bello che Egli c’è e che possiamo conoscerLo – che lo conosciamo nel volto di Gesù Cristo, che ha sofferto per noi. Penso che sia questa la prima cosa: che noi stessi entriamo in un contatto vivo con Dio – con il Signore Gesù, il Dio vivente; che in noi si rafforzi l’organo volto a Dio; che portiamo in noi stessi la percezione della sua “squisitezza”.

Ciò dà anima anche al nostro operare; poiché anche noi corriamo un pericolo: Si può fare molto, tanto nel campo ecclesiastico, tutto per Dio …, e in ciò rimanere totalmente presso sé stessi, senza incontrare Dio. L’impegno sostituisce la fede, ma poi si vuota dall’interno. Ritengo, pertanto, che dovremmo impegnarci soprattutto: nell’ascolto del Signore, nella preghiera, nella partecipazione intima ai sacramenti, nell’imparare i sentimenti di Dio nel volto e nelle sofferenze degli uomini, per essere così contagiati dalla sua gioia, dal suo zelo, dal suo amore e per guardare con Lui, e partendo da Lui, il mondo. Se riusciamo a fare questo, allora anche in mezzo a tanti “no” troviamo di nuovo gli uomini che Lo attendono e che spesso forse sono bizzarri – la parabola lo dice chiaramente – ma che comunque sono chiamati ad entrare nella sua sala.

Ancora una volta, con altre parole: Si tratta della centralità di Dio, e precisamente non di un dio qualunque, bensì del Dio che ha il volto di Gesù Cristo. Questo, oggi, è importante. Ci sono tanti problemi che si possono elencare, che devono essere risolti, ma che – tutti – non vengono risolti se Dio non viene messo al centro, se Dio non diventa nuovamente visibile nel mondo, se non diventa determinante nella nostra vita e se non entra anche attraverso di noi in modo determinante nel mondo. In questo, ritengo, si decide oggi il destino del mondo in questa situazione drammatica: se Dio – il Dio di Gesù Cristo – c’è e viene riconosciuto come tale, o se scompare. Noi ci preoccupiamo che sia presente. Che cosa dovremmo fare? In ultima istanza? Ci rivolgiamo a Lui! Noi celebriamo questa Messa votiva dello Spirito Santo, invocandoLo: “Lava quod est sordidum, riga quod est aridum, sana quod est saucium. Flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum, rege quod est devium”.  [Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato].

Lo invochiamo affinché irrighi, scaldi, raddrizzi, affinché ci pervada con la forza della sua sacra fiamma e rinnovi la terra. Per questo lo preghiamo di tutto cuore in questo momento, in questi giorni.

Amen.

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* Con l'espressione "visita ad limina" si intende indicare l'incontro che, ogni cinque anni, i vescovi di tutto il mondo hanno in Vaticano con il Papa per illustrare quali siano le particolarità che contraddistinguono la loro Regione ecclesiastica dal punto di vista religioso, sociale e culturale.

 

 

 

FdC 85 – La meditazione del mese… di Flavia Ricci

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4   «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). 

Quale momento migliore di questo, in cui ci prepariamo a vivere la Santa Pasqua, per riflettere su queste parole del Signore? 

Eccomi, davanti a te, o Signore, ad amarti  su quel crocifisso…

Tu, prima di morire in croce, hai invocato il perdono del Padre per noi e sei stato così grande da dare la tua vita per la nostra salvezza, mentre noi, così piccoli, non riusciamo a guardare oltre al  nostro egoismo e a perdonare il nostro fratello…

Mi fermo a guardare e scopro quanto è stato grande il tuo Amore per noi…per tanto tempo non riuscivo nemmeno a fissare lo sguardo sul crocifisso, tanto era forte il mio dolore nel vedere la tua sofferenza. E in quel crocifisso, invece, ho scoperto la forza del perdono e della riconciliazione, ho capito che significa l’Amore, quello che ti ha portato a morire per noi! E adesso che riesco a guardarti, Gesù, resto in silenzio, ma quante cose vorrei dirti…

Vorrei innanzitutto ringraziarti…e poi chiederti scusa per tutte quelle volte in cui non sono riuscita ad amare, e in modo particolare per tutte le volte in cui non sono stata capace di perdonare…

E chi sono io per non perdonare un mio fratello, dopo che Tu hai dato la vita per noi, prendendo tutti i peccati dell’umanità su di te? Ci hai liberato da tutti i peccati e cosa chiedi a noi?

Tu, dopo averci salvato con la morte in croce, ci hai chiesto di amare, di essere misericordiosi, di non condannare e…di perdonare. Solo questo…

Non ne siamo capaci, per noi è più facile fermarci su quella nostra posizione umana, convinti di essere nel giusto!!

E’arrivato il momento di abbandonare quell’atteggiamento di chiusura nel nostro egoismo, che non tiene conto del male che facciamo al fratello…E’ questo, invece, il momento di capire che bisogna voler bene al nostro fratello, essere misericordiosi, così come il Padre è stato misericordioso con noi, tanto da dare a noi suo figlio e permettere che morisse per liberarci dal peccato.

Troviamo il tempo per fermarci davanti al crocifisso, isoliamoci dal veloce ritmo della quotidianità che ci porta sempre a pensare alle mille cose da fare – a volte totalmente inutili – e, in quel silenzio, riscopriamo il senso del perdono e della riconciliazione, e al modo in cui possiamo ricominciare, perdonare e riconciliarci con Dio e con le persone vicine a noi. Scopriremo così, proprio in quel silenzio, cosa significa Amare!

Partiamo dal nostro incontro con Gesù sulla croce per prepararci ad un momento di riconciliazione con Lui, riconosciamo tutte le nostre mancanze, i nostri errori, le nostre cadute, prepariamoci ad una buona confessione e… avviciniamoci fiduciosi, liberiamoci da quei pesi che ci portiamo dentro. Solo allora, con un cuore aperto e libero, saremo pronti a risorgere con Cristo ad una “vita nuova”. 

E portiamo, poi, i segni di questa “vita nuova” alle persone che incontriamo sulla nostra strada, al nostro prossimo, affinché la Resurrezione di Gesù non resti solo il ricordo del giorno di Pasqua, ma sia presente nei nostri comportamenti, nei gesti di carità e, semplicemente, in quello che viviamo ogni giorno. Saremo così testimoni del Suo Amore e della vita che Lui ha dato per noi.

Flavia Ricci

 

 

 

FdC 85 – L’Editoriale di P. Armando omv

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Carissimi Amici di Casa Lanteri,

eccoci ad aprile, proiettati verso le feste pasquali.

Marzo è scivolato via presto, l'avevamo iniziato con il momento forte del Fine Settimana di Quaresima che è stato diretto dal nostro amico diacono e docente di Sacra Scrittura, Nicola Parisi (foto a sinistra). Sotto potete vedere la foto di gruppo [clicca qui per le registrazioni].

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Altro momento significativo è stato la conclusione del Gruppo Arte & Spiritualità guidato dalla nostra amica Kasia Malarska, solo tre sono state le allieve di scuola di scrittura delle icone che hanno concluso il corso biennale portando a termine ognuna l'icona che vedete sotto nella foto ricordo.

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Da sinistra: Anna Busca, Manuela Costa, il povero prete, Maria Grazia Tosi e Kasia Malarska

Procediamo dunque avanti verso la Pasqua ormai vicina chiedendo al buon Dio che ci rinnovi nella sua figliolanza, dono inestimabile che abbiamo ricevuto nel santo battesimo che rinnoveremo con gioia nella veglia pasquale. Ci accompagni nella Settimana Santa la preghiera di Colletta della Domenica delle Palme:

     

Dio onnipotente ed eterno,  
che hai dato come modello agli uomini  
il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore,  
fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce,  
fa’ che abbiamo sempre presente  
il grande insegnamento della sua passione,  
per partecipare alla gloria della risurrezione.

 

 

"Fa che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione", cioè fa che non lo dimentichiamo mai questo insegnamento. Ma qual è questo insegnamento?

Che la nostra vita è preziosa:  Siamo stati comprati a caro prezzo (1Cor 7,23), il nostro prezzo è stato il sangue di Dio!

Che siamo amati in modo sublime: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Dio dimostra il suo amore per noi, perché mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi  (Rm 5,8).

C​he siamo chiamati a seguire l'insegnamento: Imparate da me… (Mt 11,29) Cristo ci ha dato un esempio perché ne seguiamo le orme… (1Pt 2,22).

E tutto questo per poter partecipare alla gloria della risurrezione, questa è la nostra meta, non perdiamola di vista, con gli occhi fissi su di Lui procediamo con gioia verso la vita eterna:

21          Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato (Eb 12,1-4).
 
 

Santa Pasqua di Risurrezione a tutti voi
                                                                                           
P. Armando omv

 

 

 

 

FdC 85 – Gli appuntamenti di Aprile 2017

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SABATO 1° APRILE 2017

Ore 15:30  E. V. O. 2

                   L.eV.O – Liturgia e Vita Ordinaria     
                                Diretto da Sr Mary Kowalski omvf
   
                               
[Programma]

DOMENICA 2 APRILE 2017

Ore 10:00 – 17:00  RITIRO SPIRITUALE APERTO A TUTTI  
La proposta spirituale di quest'anno è tratta
dagli Atti degli Apostoli
Dirige il ritiro P. Armando Santoro omv    [Programma]

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GIOVEDÌ 6 APRILE 2017
Scuola Formazione Spirituale 2
 

SABATO 8 APRILE 2017

• GRUPPO ARTE E SPIRITUALITÀ
 

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MARTEDÌ 11 APRILE 2017
Ore 15:30  Gruppo dei Classici della Spiritualità Cristiana
                    [Programma]

MARTEDÌ 18 APRILE 2017
Scuola Formazione Spirituale 1

 
VENERDÌ 21 APRILE 2017
Scuola Formazione Spirituale 3
 

SABATO 22 APRILE 2017

• GRUPPO ARTE E SPIRITUALITÀ

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DOMENICA 30 APRILE 2017

Ore 10:00 – 18:30  INCONTRI DI SPIRITUALITÀ CONIUGALE
                               [Programma]
Dirigono l'incontro

Sr Anna Cappellucci omvf e il dott. Stefano Ottaviani

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Fdc 85 – La pagina di P. Carlo Rossi omv

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Carissimi Amici di Casa Lanteri,
Sì, noi lo crediamo: il Signore è veramente risorto. Alleluia!

Il nuovo mese di aprile si è aperto, offrendo alla nostra contemplazione l'episodio evangelico della risurrezione di Lazzaro, l'ultimo dei grandi segni operati da Cristo, che ci prepara a vivere con rinnovata gioia e profonda gratitudine il mistero pasquale della nostra salvezza: la Risurrezione di Gesù.

Dobbiamo tener presente, però, che la risurrezione di Gesù non è come quella di Lazzaro o di altre persone, di cui ci parlano i Vangeli, come ad esempio il giovane di Naim o la figlia di Giairo, tornate in vita, ma destinate poi a morire come tutti gli altri uomini.

Nel Risorto, infatti, siamo chiamati a contemplare un'azione di Dio totalmente nuova su Gesù e su di noi, un'azione tale che la morte non avrà più alcun potere.

La risurrezione di Gesù è perciò il centro e il fondamento della nostra fede; senza di essa – dice san Paolo – la nostra fede sarebbe “vana”, cioè campata in aria, senza alcun fondamento. È questa fede che ci rende “cristiani” e ci chiama ad essere anche noi creature nuove, attraverso la fedeltà al nostro Battesimo, nel quale siamo stati rigenerati ad una vita di grazia, da accogliere con grandissima gioia e da sviluppare sempre più profondamente ed intensamente, camminando con Gesù, contemplando in Lui risorto la primizia della nostra risurrezione, la certezza in una vita che non verrà mai meno.

Ed è grazie a questa fede che possiamo affrontare serenamente un'esistenza contrassegnata ancora da sofferenze, ostilità, fatica, violenza, guerre… La Pasqua di Gesù, infatti, non ci trasferisce automaticamente nel “regno dei sogni”, nella ricerca di un mondo irreale. Essa vuole, piuttosto, raggiungerci nel cuore, per aprirci ad un'esistenza autentica, un'esistenza di fede, di speranza, di amore: una fede che è fonte di gioia e di pace, una speranza che è più forte delle delusioni, un amore che è più forte di ogni egoismo.

Siamo, dunque, invitati a vivere come pellegrini nella notte, rischiarata dalla speranza della fede e riscaldata dall'autenticità dell'amore.

Ogni anno la celebrazione del Triduo pasquale ci accompagna e ci illumina in questo nostro cammino.

Per vivere più profondamente i misteri della nostra redenzione, ci rivolgiamo ancora una volta a Maria, Madre della Speranza, e con fiducia imploriamo:

  

 

                     

O Madre, tu che fosti presente ai piedi della croce;

Tu che hai vissuto il tuo sabato santo nella fede più forte della morte
ed hai continuato a sperare contro ogni speranza;

Tu che sei stata la prima testimone del tuo Figlio risorto,
concedi a tutti noi il dono della gioia e della pace nella fede che prelude e
ci avvicina alla luce sfolgorante della Pasqua.

Buona Pasqua!

Con grande affetto

p. Carlo, omv

 

 

 

 

 

FDC 84 – La «coscienza cristiana» secondo gli insegnamenti di Giovanni Paolo II

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Dall'Enciclica Dominum et vivificantem di S. Giovanni Paolo II

43. […] Gesù conferisce agli apostoli il potere di rimettere i peccati, perché lo trasmettano ai loro successori nella Chiesa. Tuttavia, questo potere, concesso ad uomini, presuppone e include l'azione salvifica dello Spirito Santo. Divenendo «luce dei cuori», cioè delle coscienze, lo Spirito Santo «convince del peccato», ossia fa conoscere all'uomo il suo male e, nello stesso tempo lo orienta verso il bene. Grazie alla molteplicità dei suoi doni, per cui è invocato come il «settiforme», ogni genere di peccato dell'uomo può essere raggiunto dalla potenza salvifica di Dio. In realtà – come dice san Bonaventura – «in virtù dei sette doni dello Spirito Santo tutti i mali sono distrutti e sono prodotti tutti i beni». Sotto l'influsso del consolatore si compie, dunque quella conversione del cuore umano, che è condizione indispensabile del perdono dei peccati. Senza una vera conversione, che implica una interiore contrizione e senza un sincero e fermo proposito di cambiamento, i peccati rimangono «non rimessi», come dice Gesù e con lui la Tradizione dell'Antica e della Nuova Alleanza. Infatti, le prime parole pronunciate da Gesù all'inizio del suo ministero, secondo il Vangelo di Marco, sono queste: «Convertitevi e credete al vangelo». […]

43. Il Concilio Vaticano II ha ricordato l'insegnamento cattolico sulla coscienza, parlando della vocazione dell'uomo e, in particolare, della dignità della persona umana. Proprio la coscienza decide in modo specifico di questa dignità. Essa, infatti, è «il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimo». Essa chiaramente «dice alle orecchie del cuore: Fa' questo, fuggi quest'altro». Una tale capacità di comandare il bene e di proibire il male, inserita dal Creatore nell'uomo, è la principale proprietà del soggetto personale. Ma, al tempo stesso, «nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire». La coscienza, dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano, come traspare fin dalla pagina del Libro della Genesi, già richiamato. Proprio in questo senso la coscienza è l'«intimo sacrario», in cui «risuona la voce di Dio».

Essa è «la voce di Dio» persino quando l'uomo riconosce esclusivamente in essa il principio dell'ordine morale, di cui umanamente non si può dubitare, anche senza un diretto riferimento al Creatore: proprio in questo riferimento la coscienza trova sempre il suo fondamento e la sua giustificazione.

L'evangelico «convincere quanto al peccato» sotto l'influsso dello Spirito di verità (cf Gv 16,8-11), non può realizzarsi nell'uomo per altra via se non per quella della coscienza.

Se la coscienza è retta, allora serve «per risolvere secondo verità i problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale»; allora «le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità». Frutto della retta coscienza è, prima di tutto, il chiamare per nome il bene e il male, come fa ad esempio la stessa Costituzione pastorale: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente; gli sforzi di costrizione psicologica. tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita infraumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili»; e, dopo aver chiamato per nome i molteplici peccati, così frequenti e diffusi nel nostro tempo, essa aggiunge: «Tutte queste cose e altre simili sono certamente vergognose e, mentre corrompono la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ben più di quelli che le subiscono; e offendono al massimo l'onore del Creatore». Chiamando per nome i peccati che più disonorano l'uomo, e dimostrando che essi sono un male morale che grava negativamente su qualsiasi bilancio del progresso dell'umanità, il Concilio insieme descrive tutto ciò come una tappa «della lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre», che caratterizza «tutta la vita umana, sia individuale che collettiva». […]

44. Ebbene, nel Cenacolo, la vigilia della sua Passione, e poi la sera di Pasqua, Gesù Cristo si è appellato allo Spirito Santo come a colui, il quale testimonia che nella storia dell'umanità perdura il peccato. Tuttavia, il peccato è sottoposto alla potenza salvifica della redenzione. Il «convincere il mondo del peccato» non si esaurisce nel fatto che esso viene chiamato per nome e identificato per quello che è su tutta la scala che gli è propria.

Nel convincere il mondo del peccato, lo Spirito di verità s'incontra con la voce delle coscienze umane. Su questa via si giunge alla dimostrazione delle radici del peccato, che sono nell'intimo dell'uomo, come mette in rilievo la stessa Costituzione pastorale: «In verità, gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quello squilibrio più fondamentale, radicato nel cuore dell'uomo. È nell'uomo stesso che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura fa l'esperienza dei suoi molteplici limiti; dall'altra, si sente illimitato nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunciare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe». Il testo conciliare fa qui riferimento alle note parole di san Paolo.

Il «convincere quanto al peccato», che accompagna la coscienza umana in ogni approfondita riflessione su se stessa, porta dunque alla scoperta delle sue radici nell'uomo, come anche dei condizionamenti della coscienza stessa nel corso della storia. Ritroviamo in questo modo quella realtà originaria del peccato, della quale si è già parlato. Lo Spirito Santo «convince quanto al peccato» in rapporto al mistero dell'inizio, indicando il fatto che l'uomo è un essere creato e, dunque, è in una totale dipendenza ontologica ed etica dal Creatore, e ricordando, al tempo stesso, l'ereditaria peccaminosità della natura umana.

Ma lo Spirito Santo consolatore «convince del peccato» sempre in relazione alla Croce di Cristo. In questa relazione il cristianesimo respinge ogni «fatalità» del peccato. È «una dura lotta contro le potenze delle tenebre, lotta che, cominciata fin dall'origine del mondo, continuerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno» – insegna il Concilio. «Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza». L'uomo, dunque, lungi dal lasciarsi «irretire» nella sua condizione di peccato, appoggiandosi alla voce della propria coscienza, «deve combattere senza soste per aderire al bene, né può conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio». Il Concilio giustamente vede il peccato come fattore della rottura, che grava sia sulla vita personale che su quella sociale dell'uomo; ma, nello stesso tempo, ricorda instancabilmente la possibilità della vittoria.

45. Lo Spirito di verità, che «convince il mondo del peccato», s'incontra con quella fatica della coscienza umana, di cui i testi conciliari parlano in modo così suggestivo. Tale fatica della coscienza determina anche le vie delle conversioni umane: il voltare le spalle al peccato, per ricostruire la verità e l'amore nel cuore stesso dell'uomo. Si sa che riconoscere il male in se stessi a volte costa molto. Si sa che la coscienza non solo comanda o proibisce, ma giudica alla luce degli ordini e divieti interiori. Essa é anche fonte di rimorsi: l'uomo soffre interiormente a causa del male commesso. Non è questa sofferenza quasi un'eco lontana di quel «pentimento di aver creato l'uomo», che con linguaggio antropomorfico il Libro sacro attribuisce a Dio? di quella «riprovazione» che, inscrivendosi nel «cuore» della Trinità, in forza dell'eterno amore si traduce nel dolore della Croce, nell'obbedienza di Cristo fino alla morte? Quando lo Spirito di verità consente alla coscienza umana di partecipare a quel dolore, allora la sofferenza della coscienza diventa particolarmente profonda, ma anche particolarmente salvifica. Allora, mediante un atto di contrizione perfetta, si opera l'autentica conversione del cuore: è l'evangelica «métanoia». La fatica del cuore umano, la fatica della coscienza, in cui si compie questa «métanoia», o conversione, è il riflesso di quel processo per cui la riprovazione viene trasformata in amore salvifico, che sa soffrire.

Il dispensatore nascosto di questa forza salvatrice è lo Spirito Santo: egli, che viene chiamato dalla Chiesa «luce delle coscienze», penetra e riempie «la profondità dei cuori» umani. Mediante una tale conversione nello Spirito Santo, l'uomo si apre al perdono, alla remissione dei peccati E in tutto questo mirabile dinamismo della conversione-remissione, si conferma la verità di ciò che scrive sant'Agostino sul mistero dell'uomo, commentando le parole del Salmo: «L'abisso chiama l'abisso». Proprio nei riguardi di questa «abissale profondità» dell'uomo della coscienza umana, si compie la missione del Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo «viene» in forza della «dipartita» di Cristo nel mistero pasquale: viene in ogni fatto concreto di conversione-remissione, in forza del sacrificio della Croce: in esso, infatti, «il sangue di Cristo… purifica le coscienze dalle opere morte, per servire il Dio vivente». Si adempiono così di continuo le parole sullo Spirito Santo come «un altro consolatore», le parole rivolte nel Cenacolo agli apostoli e indirettamente a tutti: «Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi sarà in voi». 

[Clicca qua per leggere l’intera Enciclica].

 

 

 

FdC 84 – Il pensiero eucaristico del mese… di Benedetto XVI

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Discorso di Benedetto XVI nel sessantacinquesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, 28 giugno 2016

Santo Padre, cari fratelli,

65 anni fa, un fratello ordinato con me ha deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa soltanto, eccetto il nome e le date, una parola, in greco: “Eucharistómen” ( Ευχαριστούμεν ), convinto che con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento. “Eucharistómen” dice un grazie umano, grazie a tutti. Grazie soprattutto a Lei, Santo Padre! La Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che Lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio.

Grazie pure a Lei, Eminenza [Cardinale Sodano], per le Sue parole che hanno veramente toccato il cuore: “Cor ad cor loquitur”. Lei ha reso presente sia l’ora della mia ordinazione sacerdotale, sia anche la mia visita nel 2006 a Freising, dove ho rivissuto questo. Posso solo dire che così, con queste parole, Lei ha interpretato l’essenziale della mia visione del sacerdozio, del mio operare. Le sono grato per il legame di amicizia che fino adesso continua da tanto tempo, da tetto a tetto [si riferisce alle loro abitazioni che sono in linea d’aria vicine]: è quasi presente e tangibile.

Grazie, Cardinale Müller, per il Suo lavoro che fa per la presentazione dei miei testi sul sacerdozio, nei quali cerco di aiutare anche i confratelli a entrare sempre di nuovo nel mistero in cui il Signore si dà nelle nostre mani.

“Eucharistómen”: in quel momento l’amico Berger voleva accennare non solo alla dimensione del ringraziamento umano, ma naturalmente alla parola più profonda che si nasconde, che appare nella Liturgia, nella Scrittura, nelle parole “gratias agens benedixit fregit deditque”. “Eucharistómen” ci rimanda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il Pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore.

Alla fine, vogliamo inserirci in questo “grazie” del Signore, e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare per la transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte.

Grazie a tutti voi. Il Signore ci benedica tutti.

Grazie, Santo Padre.

 

 

 

 

 

FdC 84 – La meditazione del mese… di Flavia Ricci

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In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».
E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.

Gesù con queste parole esprime il suo Amore e la sua attenzione particolare per i bambini e chiede a tutti noi una cosa facilissima e difficilissima nello stesso tempo…

Ci invita a tirare fuori la parte più nascosta di noi, quella di “bambini”, e come tali ad accogliere il Suo “regno”, perché “chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”.

Cosa ci chiede di fare…in concreto? Ci chiede di essere semplici, puri, di lasciarci amare e di fidarci di Lui…

Ma siamo capaci di guardare dentro di noi e di tirare fuori quella parte un po’ sopita della nostra personalità?

Questa scelta renderebbe tutto più facile, ci consentirebbe di rivolgerci a Lui in modo diretto, di chiedere e di affidarci a Lui in modo naturale, di riconoscere le nostre fragilità e di metterle nelle sue mani, di rialzarci dopo una caduta con la sicurezza che tutto si risolve, perché Lui, il Padre, è al nostro fianco.

Affidiamoci a Lui lasciandoci prendere per mano e, facendoci guidare sulla via che Lui ha pensato per noi, ci accorgeremo che tutto è più facile, che le nostre preoccupazioni non hanno senso…noi, sempre attenti a programmare tutto, fino alla cosa meno importante, per una volta mettiamoci nelle Sue mani, riscopriamoci “bambini” e lasciamoci avvolgere dal Suo Amore.

E’ solo questa la strada per accogliere il Regno di Dio: una riscoperta di noi stessi, la decisione profonda di sentirci figli Suoi e di seguire la strada del Suo Amore, con quella semplicità che solo i bambini possono avere…

Tutto sarà più semplice, perché sapremo chiedere aiuto a Lui e dire grazie per ogni piccola cosa, saremo capaci di stupirci per tutto quello che ci dona ogni giorno e che, invece, a volte non sappiamo apprezzare…

Potremo con semplicità chiedere perdono, certi di poter rafforzare il nostro rapporto con Lui mediante la riconciliazione….proprio come fa un bambino con il proprio genitore.

Come cambierebbe il nostro modo di essere se solo scegliessimo di essere “come bambini” nei pensieri, nei modo di rapportarci con noi stessi e con gli altri, senza farci condizionare da stereotipi e pregiudizi, capaci di tornare sui nostri passi se ci accorgiamo di aver commesso un errore…proprio come avviene spontaneamente nei bambini!

Questo non significa che dobbiamo essere incoscienti anzi, al contrario, dobbiamo essere ben consapevoli delle nostre responsabilità e di quello che siamo, ma nello stesso tempo dobbiamo essere liberi dagli schemi mentali che a volte ci costruiamo e che ci impediscono di vivere serenamente…

Da questo diverso modo di essere deriva la capacità di “accogliere” il Regno di Dio, proprio come un Suo dono, cambiando la nostra disposizione d’animo, pronti veramente ad essere avvolti dal Suo Amore e a “viverlo” anche qui, su questa terra, nella nostra realtà quotidiana e in quelle situazioni difficili che spesso ci capitano e che vorremmo tanto evitare.

Siamo pronti per questo salto? Sta a noi dire al Signore il nostro sì…per accogliere il regno di Dio come bambini ed entrare in esso!

Flavia Ricci