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E una volta passato il momento del sacrificio, resta Gesù incarnato in lui misticamente; resta in lui quel Gesù che fa sì che il sacerdote sia Gesù, in forza di quell'unione trasfomante che è, in maggiore o minore misura, l'Incarnazione mistica. Purtroppo il sacerdote non se ne rende conto, non riflette su questo; eppure nessun'anima come la sua ha la sua peculiarità – in forza della grazia di stato, cioè dell'unzione ricevuta nell'Ordinazione come dono dal Cielo – di giungere alla perfetta trasformazione in Cristo mediante l'Incarnazione mistica del Verbo in lui. L'Incarnazione mistica determina la trasformazione e questa trasformazione, a sua volta, apre all'Incarnazione mistica in grado più o meno elevato. Per il sacerdote è questo il mezzo più efficace e più santo per giungere alla trasformazione in Lui. Infatti quando il Verbo si impossessa dell'anima, questa si perde nel Verbo, come una goccia d'acqua si perde nel mare, come il Sole divino assorbe la luce. L'immensità del mare assorbe la goccia e il Sole divino il raggio di luce proprio come il Verbo assorbe l'aniima che da Lui ha avuto origine. La divinità del Verbo assorbe ciò che di divino c'è nell'anima e la divinizza, la converte in Lui e la perde in Lui. Il sacerdote riceve quotidianamente nella Messa il riverbero del mistero dell'incarnazione. Purtroppo molto spesso non gli dà peso, lo offusca, lo opacizza con gli assilli terreni o esteriori, e può addirittura giungere a estinguerlo con il peccato. Ma il sacerdote che accoglie e potenzia, con la sua corrispondenza alla grazia, questo dono di Dio, è il più idoneo a ricevere e ad accrescere l'inestimabile grazia eminentemente sacerdotale, grazia per eccellenza di mutua donazione, grazia insigne, trasformante e unitiva che attrae la Trinità, poiché il Verbo – in quanto Persona divina – non può separarsi nè dal Padre né dallo Spirito Santo, che sono una sola essenza con Lui
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