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Card. Albert Vanhoye, Pietro e Paolo. Esercizi spirituali biblici, Edizioni Paoline
Ultima cena e carità
Durante la sua vita, Gesù assumeva spontaneamente l’atteggiamento filiale di amore riconoscente, un atteggiamento che corrisponde alla sua situazione di Figlio: il Figlio riceve tutto dal Padre e lo riconosce con gioia e gratitudine. I vangeli riferiscono diversi casi in cui Gesù rese grazie in pubblico; si tratta regolarmente di situazioni nelle quali noi non avremmo mai pensato di ringraziare Dio, perché erano situazioni di mancanza, di sconfitta o di lutto. Un situazione di mancanza, di carestia, è quella che precede la moltiplicazione dei pani: ci sono cinquemila persone da sfamare e cinque pani a disposizione, che sono in realtà piccole focacce piuttosto che pani. Non sembrerebbe proprio il caso di rendere grazie, ma in questa situazione di carestia, Gesù comincia col ringraziare e poi distribuisce: inaspettatamente i pochi pani bastano per saziare tutti, anzi c’è sovrabbondanza. In un’altra occasione, Gesù era stato criticato; la sua predicazione non era stata accolta dalla gente perbene, dai sapienti, dagli intelligenti: Gesù rende grazie al Padre, perché è piaciuto al Padre fare la rivelazione ai piccoli e non a loro (cf Mt 11,25). Un’ultima volta – è la più impressionante –, davanti alla tomba del suo amico Lazzaro, Gesù fa aprire il sepolcro e prega dicendo: «Padre, ti rendo grazie, perché mi hai ascoltato» (Gv 11,41). Una preghiera completamente inaspettata in un momento in cui l’esaudimento non si è ancora manifestato e sembra impossibile.
Quando gli Apostoli nell’Ultima Cena Lo hanno sentito rendere grazie, hanno visto questo come un fatto normale e hanno capito il primo significato di quelle parole: «Padre, ti benedico per questo pane che mi dai, Tu che sei creatore di ogni cosa, la sorgente di ogni vita, Tu che nutri generosamente tutte le tute creature; ti rendo grazie per questo vino, simbolo del tuo amore, con il quale rallegri il cuore degli uomini; ti rendo grazie perché posso continuare il movimento della tua generosità, distribuendo ai miei fratelli questo pane e questo vino». Questo potevano capire i discepoli. Gesù stesso però sapeva benissimo ciò che stava per dire e per fare nel momento immediatamente successivo: sapeva che il pane non sarebbe rimasto pane ordinario, cibo materiale, che il vino sarebbe stato trasformato in sangue d’alleanza. Gesù vede che il Padre gli dà la possibilità di un dono incomparabilmente più grande, più sostanzioso, più generoso: il dono del pane celeste per comunicare la vita divina e quello del vino dell’alleanza per stabilire la comunione. Gesù aveva annunziato questo dono del Padre nel discorso sul pane della vita dicendo: «Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero» (Gv 6,32). Per Gesù, il primo aspetto dell’Eucaristia non è quello di essere un dono suo ai discepoli, bensì un dono del Padre celeste: «Il Padre mio vi dà il pane dal cielo». Gesù ne è consapevole, non pretende di avere Lui l’iniziativa di questo don meraviglioso, ma rende grazie: «Ti rendo grazie, Padre, perché per mezzo di questo pane, che ho nelle mie mani, Io stesso diventerò pane per la via del mondo. Ti rendo grazie di averMi dato un corpo che posso trasformare in cibo spirituale, di averMi dato il mio sangue che posso trasformare in bevanda spirituale, di averMi dato un cuore pieno di amore, che desidera ardentemente fare questo dono completo di Me stesso per stabilire la nuova alleanza» Questo è il senso del ringraziamento di Gesù.
Egli aveva detto: «Il pane che Io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). L’Eucaristia è un dono per la vita del mondo. Gesù dunque non limita il suo sguardo al piccolo gruppo che gli sta attorno, ma dice agli Apostoli: «Fate questo in memoria di Me», pensando a tanta altra gente. Il suo ringraziamento si trova quindi all’origine di una nuova moltiplicazione del pane. Anche se non ha luogo subito, questa nuova moltiplicazione è meravigliosa ed è più importante della moltiplicazione dei pani nel deserto il cui vero scopo era proprio di annunziare la moltiplicazione del pane eucaristico. Quindi Gesù, rendendo grazie, pensa a questa distribuzione illimitata: «Padre, mi unisco a Te con immensa gratitudine, perché Tu fai di Me il pane vivo, dato per la vita del mondo, infinitamente moltiplicabile a profitto di tutti».
Se ora paragoniamo il ringraziamento dell’Ultima Cena con quello che Gesù aveva fatto davanti alla tomba di Lazzaro, a prima vista appaiono grosse differenze: da una parte, una preghiera fatta all’aperto, davanti ad una tomba; dall’altra un pasto preso insieme all’interno del Cenacolo. Sembra che non ci sia alcun rapporto. Però, se riflettiamo un po’ troveremo che in tutti e due i casi si tratta di affrontare la morte e di vincerla. Nel primo caso, Gesù deve affrontare la morte del suo amico Lazzaro; nel secondo, invece, affronta la propria morte, e in entrambi i casi Egli rende grazie prima della vittoria. Questo è impressionante e molto significativo. Davanti alla tomba di Lazzaro, Gesù dice: «Padre, ti ringrazio perché mi hai ascoltato» (Gv 11,41). Gesù, prima del miracolo è sicuro di essere ascoltato dal Padre e di ottenere quindi la vittoria sulla morte dell’amico. Similmente, nell’Ultima Cena Gesù ringrazia prima della morte, perché ha la certezza che il Padre gli darà la vittoria sulla morte:«Padre, ti rendo grazie, perché so in anticipo che mi dai la vittoria sulla morte, per me e per tutti. Ti rendo grazie, perché Tu metti nel mio cuore tutta la forza del tuo amore, capace di vincere anche la morte, trasformandola completamente in occasione del dono più completo e perfetto di Me stesso. Grazie alla forza di questo amore, il mio corpo diventerà, per mezzo della morte, il pane della vita e il mio sangue diventerà sorgente di comunione, sangue di alleanza. Tutti potranno usufruire di questo dono, per mezzo dell’Eucaristia. Per questo Padre, ti rendo grazie». Vediamo che è un rendimento di grazie che ha motivi molto forti e profondi: Gesù in anticipo ringrazia per la sua vittoria sulla morte. Come ho detto, Gesù ha capovolto il senso della morte: di un evento tremendamente negativo ha fatto un evento quanto mai positivo, e l’ha potuto fare proprio perché ha reso grazie, perché, cioè, Egli si è aperto completamente, con amore filiale riconoscente, alla forza di amore che veniva dal Padre ed era capace di questa stupenda trasformazione. Possiamo dire che tutto il mistero pasquale dipende da questo primo momento del rendimento di grazie, che apre l’essere umano di Gesù all’amore che viene dal Padre e quindi gli mette in moto la straordinaria trasformazione dell’evento.
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