FdC 89 – Pensiero eucaristico del mese… di Père Jérôme

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Padre Jérôme (Jean Kiefer) nacque il 17 luglio 1907, a Rodi.  Suo padre era ingegnere a Istanbul, presso il sultano.  Nel 1912 sua madre (che era protestante) morì al Cairo. La famiglia allora rientrò in Svizzera, paese d’origine.  
Alla morte del padre egli si stabilì a Friburgo, dove si diplomò ingegnere agronomo nel 1927 alla Scuola Internazionale di agricoltura (a Grange-neuve). Ricevette dai Gesuiti la sua prima formazione.  Nel monastero trappista di Sept-Fons (in Francia) entrò l’8 dicembre 1927, mentre era Abbate Dom J-B.Chautard.  Divenne Professo nel 1931 e Sacerdote nel 1936.  Dal 1939 fino alla morte (con una interruzione dal 1967 al 1969, dovuta a un tumore) esercitò importanti incarichi di amministrazione, e insegnò filosofia e teologia ai monaci.  Si occupava dei campi;  era a disposizione degli ospiti, soprattutto sacerdoti. È morto la mattina del 29 gennaio 1985.  È stato un grande maestro di preghiera e di vita spirituale e monastica.
Ringraziamo P. Yves Morin omv per la traduzione del testo.
La necessità dei mutui scambi

L’amicizia richiede mutui scambi, esige che il nostro amico possa disporre di tutto ciò che si possiede. In genere si pensa prima di tutto ai beni materiali, ma noi mettiamo piuttosto la primo posto le ricchezze interiori, tutto ciò che affina la nostra sensibilità, tutto ciò che sviluppa il nostro spirito, tutto ciò che nobilita il nostro cuore, perché un amico non saprebbe accettare che la personalità del suo amico sia meno provvista di beni e meno espansa della propria. Ognuno dei due vorrebbe che l’amico possieda più risorse interiori di quelle che possiede lui stesso, perlomeno non meno. È per questo che invita l’altro a venire e servirsi.

Inoltre l’amicizia spinge ogni partner al progresso intellettuale e spirituale. Vale di più, infatti, coltivare costantemente il proprio capitale perché la persona che si ama vi possa attingere ugualmente. E ciascuno può incoraggiare i progressi dell’amico, poiché saranno messi in uso comune.

Poiché l’amicizia esige scambi, ne consegue che tra due amici il più dotato ami di più e meglio. Infatti negli scambi mutui ciò che costui porta è di più grande qualità. Sulla tavola sulla quale due amici mangiano ogni giorno, gli alimenti migliori e più abbondanti sono serviti da lui. A lui tocca mettere perfezione, conosciuta da lui solo e in più regalata nei gesti ai quali l’amico meno dotato non darà importanza e poca attenzione. Al più dotato dei due tocca ancora proteggere l’amicizia dalla fragilità, compensare ciò che l’altro non mette, sovralimentare ciò che tende a disseccarsi o esaurirsi. In fondo l’amicizia poggia sul più fine dei due amici; sul meglio dotato in rapporto alla sensibilità, al cuore e all’intelligenza. Poggia sul più maturo dei due, il più riservato anche. Poiché lui conosce meglio il prezzo dell’amicizia può far di questa la sua opera, il suo capolavoro. 

Ora qui si tratta dell’amicizia divina, le caratteristiche che ho fatto appena notare, le ritroveremo in quest’amicizia. In primo luogo accordiamo al nostro grande Dio la superiorità in tutto, dunque il ruolo essenziale, ma segreto, quello dell’amico più fine, più dotato. Dio ha fatto nascere per bontà la sua amicizia con Lui; saprà con la sua onnipotenza mantenerla, svilupparla. Si curerà di allontanare i pericoli che la minacciano, brusche rotture o stanchezza progressiva.

Le cose devono succedere così durante i nostri tempi di preghiera. La mano che ci riporta o ci trattiene nell’orazione perché non l’abbandoniamo è quella dell’amico più amante di noi, perché più fine di noi.

Quali scambi ci sono tra Dio e noi? quali sono i beni divini che Lui mette a nostra disposizione a titolo di amicizia? Bisognerebbe rispondere con un’enumerazione che necessiterebbe di previe distinzioni. Ma lasciamo questo e menzioniamo soltanto un dono che si colloca in questa soprannaturale amicizia, il dono per eccellenza, l’Eucaristia. 

All’attivo dell’amicizia che Dio ci rivolge, non bisogna mettere al di sopra di tutto l’Eucaristia, dono di Dio, dono che è Dio?

Facciamo un po’ di teologia davanti al tabernacolo. Credo con tutta la mia anima al grande mistero della nostra fede: il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, offerto, ricevuto, presente. Offerto durante il sacrificio della Messa, ricevuto con la Comunione, presente realmente e permanentemente nel tabernacolo. Offerto per la mia salvezza e la salvezza del mondo; ricevuto per prepararmi alla vita eterna; presente in permanenza per l’amicizia e per i necessari aiuti. Queste tre funzioni dell’Eucaristia si richiamano le une alle altre. Ognuna in rapporto alle altre due non è inferiore. Queste tre sono ugualmente giustificate e ugualmente necessarie. Colui che non sa quale rischio lo aspetta al termine della vita presente, sottostima l’offerta salutare del Corpo di Cristo; colui che non ha il senso della propria debolezza e della propria solitudine snobba la comunione al Corpo di Cristo; colui che non sa che Dio lo ama, trascura la presenza permanente di Cristo nel tabernacolo. A me piace riconoscere il nostro Salvatore in questi tre aspetti del suo grande mistero. Nell’Eucaristia credo con uguale certezza nella Vittima offerta, nel Pane ricevuto, nell’Amico presente. L’offerta, il nutrimento, la Presenza: tre usi di uno stesso dono in vista della mia salvezza e della salvezza del mondo.

Nutrimento: il primo effetto della Comunione sacramentale è di conferire all’anima la forza di produrre immediatamente atti d’amore per Dio non necessariamente con facilità sensibile, come sempre nella vita spirituale bisogna fare degli sforzi, ma nei momenti che seguono la Comunione i nostri atti saranno più validi perché più aiutati. Quel non senso di buttare al vento e lasciare alle correnti d’aria questi momenti, i migliori per la preghiera di unione, i momenti durante i quali la nostra preghiera ha più grande possibilità di essere realmente unitiva, indipendentemente, lo ripeto, da qualsiasi euforia sensibile. A nostro Signore ricevuto come cibo, la mia preghiera dirà sotto una forma o un’altra: «Amami più di quanto ti amo, dammi più di quanto ti dono, nutrimi fortemente per sostenermi fortemente durante tutto questo giorno».

Presenza reale permanente: è precisamente perché nel tabernacolo Dio non appare che il fedele deve rendere testimonianza della sua presenza, la testimonianza dell’adoratore deve rispondere al silenzio di Dio. Come risultano importuni tutti quelli che amano pregare davanti al tabernacolo quando nel mondo si proclama con i tamburi la morte di Dio! In ogni modo quelli che adorano nell’Eucaristia un Vivente, sono loro stessi ben viventi e io voglio essere di loro. Che gli eventi e gli accidenti di questo mondo non intralcino la nostra facilità di nutrirci dell’Eucaristia e di rendere il nostro culto al divino Corpo di Cristo, alla sua Presenza reale permanente. Ecco tutto ciò che aspetto dalla storia contemporanea e dalla sua evoluzione. Ecco anche ciò che auguro a beneficio di tutti gli uomini. In ordine di importanza le conquiste del progresso sociale e scientifico vengono ben dopo.

L’amicizia comporta sempre una parte riservata al solo amico ad esclusione di qualsiasi altra presenza, questo risulta dalla profondità degli scambi mutui. L’amicizia è dunque necessariamente, da una parte, un mondo chiuso. In questo si distingue dal cameratismo. Ora questa legge regge ugualmente l’amicizia dell’uomo con Dio: quest’amicizia comporta necessariamente una parte di unione personale che niente di comunitario potrà mai soppiantare. Nello stesso modo, nell’amicizia che scende da Dio verso l’uomo, c’è sempre una parte incomunicabile agli altri, la qualità stessa dell’amicizia esige questa riserva, tanto più quando questa qualità ci avvicina all’infinito. Poiché alcune realtà non cambiano mai natura: un tesoro sarà sempre il bene proprio di colui che sa dove si trova e come raggiungerlo, un grande e vero amore andrà sempre da un unico ad un altro unico. Anche quando un unico oggetto dev’essere di tutti, come succede quando si ama Dio, anche in quel caso il mio amore per Dio è strettamente mio. È Dio stesso è mio.

L’offerta: Ma dopo tutto questo cosa diamo a Dio? Se occorrono scambi mutui, dove sta la nostra parte, la parte che portiamo in virtù della quale ci sarà finalmente reciprocità?

Cosa diamo a Dio? Nulla che prima non abbiamo ricevuto. Dio infatti è il nostro Creatore, e la sua azione necessaria si espande in noi e attraverso di noi, persino nel minimo slancio dell’anima. D’altronde, se ci tenete, e perché non siate troppo delusi, diciamo che diamo qualcosa a Dio: la scelta che noi facciamo di Lui come Bene supremo e come Amico. Per la verità questa scelta l’abbiamo ricevuta liberamente in virtù della sottile onnipotenza della Causa primordiale. È tutto!

Non pensate però che questa piccola scelta, questo piccolo dono che versiamo nel fondo comune dell’amicizia sia poca cosa. Se volete considerarlo immaginate queste due ipotesi: durante cinquant’anni vivere fianco a fianco con qualcuno che vi ha veramente scelto con la tenerezza del proprio cuore; o vivere nelle stesse condizioni con chi vi esclude totalmente. Fate bene la differenza e misurerete ciò che rappresenta la scelta che fa un cuore umano. Questa scelta nessuno la può ottenere da noi se non la facciamo spontaneamente. Ora vogliamo riportare questo su Dio! Ancora una volta trovo qui una giustificazione dell’orazione contemplativa. Poiché quando si è scelto Dio, si conserva il proprio tempo per Dio e quante eliminazioni questa scelta porterà in seguito; preferenza che si ammette a spese delle proprie preferenze. Chi si lascia prendere dall’ingranaggio della preghiera contemplativa lo accetta volentieri; lo accetta volentieri perché ha scelto Dio. Ma, in mancanza di questa scelta, ad alcuni cuori umani, la vita sembrerebbe vuota.