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Per continuare il discorso iniziato negli scorsi numeri, proponiamo questa volta un brano tratto non dalla Divina Commedia ma da una lettera scritta da Dante a Cangrande della Scala, signore di Verona. Questa lettera è molto importante perché riassume il senso e gli scopi di tutta l'opera, e soprattutto ci fornisce delle chiavi di lettura del poema. «L'obiettivo dell'opera e della Cantica del Paradisor potrebbe essere molteplice, ossia riguardare la realtà immediata e quella futura; ma tralasciando ogni sottigliezza, per parlare brevemente, l'obiettivo della Commedia e di questa Cantica consiste nell'allontanare i viventi, durante la loro esistenza, dallo stato di miseria spirituale, per condurli alla salvezza» (Dante Alighieri, Lettera a Cangrande, tr. di Maria Adele Garavaglia). La traduzione che abbiamo riportato parla di "salvezza", ma il testo di Dante parla di «felicità». Ovviamente si tratta della stessa cosa, ma è bene precisarlo. Ora, questa felicità sarà per sempre nell'altro mondo, tuttavia è possibile farne esperienza anche in questa vita. Del resto Giovanni XXIII scriveva, nel suo Decalogo della quotidianità, che dobbiamo esser certi che siamo stati creati "per essere felici non solo nell'altro mondo, ma anche in questo". Questa felicità ci viene dalla conoscenza di noi stessi. Diceva S. Faustina Kowalska: "O gioia che deriva dalla conoscenza di me stessa!" (Diario, 66). Questa gioia e questa conoscenza sono frutto di un lavoro, naturalmente, che si fa proprio negli Esercizi Spirituali. E, in un certo senso, questa felicità dovrebbe anche essere un banco di verifica del percorso compiuto nel tempo e del fatto che si sta seguendo il percorso giusto. Concludo riportando ancora un brano tratto dal Diario di s. Faustina, nel quale risulta evidente l'identificazione tra Dio e la felicità: «Tutto il mio essere è stato scosso fin nelle sue più segrete profondità. La grandezza di Dio non mi spaventa, ma mi rende felice; facendoGli onore io stessa vengo innalzata. Vedendo la Sua felicità anch'io sono felice…» (S. Faustina Kowalska, Diario, 1246)
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