|
Dall'Enciclica Dominum et vivificantem di S. Giovanni Paolo II 43. […] Gesù conferisce agli apostoli il potere di rimettere i peccati, perché lo trasmettano ai loro successori nella Chiesa. Tuttavia, questo potere, concesso ad uomini, presuppone e include l'azione salvifica dello Spirito Santo. Divenendo «luce dei cuori», cioè delle coscienze, lo Spirito Santo «convince del peccato», ossia fa conoscere all'uomo il suo male e, nello stesso tempo lo orienta verso il bene. Grazie alla molteplicità dei suoi doni, per cui è invocato come il «settiforme», ogni genere di peccato dell'uomo può essere raggiunto dalla potenza salvifica di Dio. In realtà – come dice san Bonaventura – «in virtù dei sette doni dello Spirito Santo tutti i mali sono distrutti e sono prodotti tutti i beni». Sotto l'influsso del consolatore si compie, dunque quella conversione del cuore umano, che è condizione indispensabile del perdono dei peccati. Senza una vera conversione, che implica una interiore contrizione e senza un sincero e fermo proposito di cambiamento, i peccati rimangono «non rimessi», come dice Gesù e con lui la Tradizione dell'Antica e della Nuova Alleanza. Infatti, le prime parole pronunciate da Gesù all'inizio del suo ministero, secondo il Vangelo di Marco, sono queste: «Convertitevi e credete al vangelo». […] 43. Il Concilio Vaticano II ha ricordato l'insegnamento cattolico sulla coscienza, parlando della vocazione dell'uomo e, in particolare, della dignità della persona umana. Proprio la coscienza decide in modo specifico di questa dignità. Essa, infatti, è «il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimo». Essa chiaramente «dice alle orecchie del cuore: Fa' questo, fuggi quest'altro». Una tale capacità di comandare il bene e di proibire il male, inserita dal Creatore nell'uomo, è la principale proprietà del soggetto personale. Ma, al tempo stesso, «nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire». La coscienza, dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano, come traspare fin dalla pagina del Libro della Genesi, già richiamato. Proprio in questo senso la coscienza è l'«intimo sacrario», in cui «risuona la voce di Dio». Essa è «la voce di Dio» persino quando l'uomo riconosce esclusivamente in essa il principio dell'ordine morale, di cui umanamente non si può dubitare, anche senza un diretto riferimento al Creatore: proprio in questo riferimento la coscienza trova sempre il suo fondamento e la sua giustificazione. L'evangelico «convincere quanto al peccato» sotto l'influsso dello Spirito di verità (cf Gv 16,8-11), non può realizzarsi nell'uomo per altra via se non per quella della coscienza. Se la coscienza è retta, allora serve «per risolvere secondo verità i problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale»; allora «le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità». Frutto della retta coscienza è, prima di tutto, il chiamare per nome il bene e il male, come fa ad esempio la stessa Costituzione pastorale: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente; gli sforzi di costrizione psicologica. tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita infraumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili»; e, dopo aver chiamato per nome i molteplici peccati, così frequenti e diffusi nel nostro tempo, essa aggiunge: «Tutte queste cose e altre simili sono certamente vergognose e, mentre corrompono la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ben più di quelli che le subiscono; e offendono al massimo l'onore del Creatore». Chiamando per nome i peccati che più disonorano l'uomo, e dimostrando che essi sono un male morale che grava negativamente su qualsiasi bilancio del progresso dell'umanità, il Concilio insieme descrive tutto ciò come una tappa «della lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre», che caratterizza «tutta la vita umana, sia individuale che collettiva». […] 44. Ebbene, nel Cenacolo, la vigilia della sua Passione, e poi la sera di Pasqua, Gesù Cristo si è appellato allo Spirito Santo come a colui, il quale testimonia che nella storia dell'umanità perdura il peccato. Tuttavia, il peccato è sottoposto alla potenza salvifica della redenzione. Il «convincere il mondo del peccato» non si esaurisce nel fatto che esso viene chiamato per nome e identificato per quello che è su tutta la scala che gli è propria. Nel convincere il mondo del peccato, lo Spirito di verità s'incontra con la voce delle coscienze umane. Su questa via si giunge alla dimostrazione delle radici del peccato, che sono nell'intimo dell'uomo, come mette in rilievo la stessa Costituzione pastorale: «In verità, gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quello squilibrio più fondamentale, radicato nel cuore dell'uomo. È nell'uomo stesso che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura fa l'esperienza dei suoi molteplici limiti; dall'altra, si sente illimitato nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunciare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe». Il testo conciliare fa qui riferimento alle note parole di san Paolo. Il «convincere quanto al peccato», che accompagna la coscienza umana in ogni approfondita riflessione su se stessa, porta dunque alla scoperta delle sue radici nell'uomo, come anche dei condizionamenti della coscienza stessa nel corso della storia. Ritroviamo in questo modo quella realtà originaria del peccato, della quale si è già parlato. Lo Spirito Santo «convince quanto al peccato» in rapporto al mistero dell'inizio, indicando il fatto che l'uomo è un essere creato e, dunque, è in una totale dipendenza ontologica ed etica dal Creatore, e ricordando, al tempo stesso, l'ereditaria peccaminosità della natura umana. Ma lo Spirito Santo consolatore «convince del peccato» sempre in relazione alla Croce di Cristo. In questa relazione il cristianesimo respinge ogni «fatalità» del peccato. È «una dura lotta contro le potenze delle tenebre, lotta che, cominciata fin dall'origine del mondo, continuerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno» – insegna il Concilio. «Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza». L'uomo, dunque, lungi dal lasciarsi «irretire» nella sua condizione di peccato, appoggiandosi alla voce della propria coscienza, «deve combattere senza soste per aderire al bene, né può conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio». Il Concilio giustamente vede il peccato come fattore della rottura, che grava sia sulla vita personale che su quella sociale dell'uomo; ma, nello stesso tempo, ricorda instancabilmente la possibilità della vittoria. 45. Lo Spirito di verità, che «convince il mondo del peccato», s'incontra con quella fatica della coscienza umana, di cui i testi conciliari parlano in modo così suggestivo. Tale fatica della coscienza determina anche le vie delle conversioni umane: il voltare le spalle al peccato, per ricostruire la verità e l'amore nel cuore stesso dell'uomo. Si sa che riconoscere il male in se stessi a volte costa molto. Si sa che la coscienza non solo comanda o proibisce, ma giudica alla luce degli ordini e divieti interiori. Essa é anche fonte di rimorsi: l'uomo soffre interiormente a causa del male commesso. Non è questa sofferenza quasi un'eco lontana di quel «pentimento di aver creato l'uomo», che con linguaggio antropomorfico il Libro sacro attribuisce a Dio? di quella «riprovazione» che, inscrivendosi nel «cuore» della Trinità, in forza dell'eterno amore si traduce nel dolore della Croce, nell'obbedienza di Cristo fino alla morte? Quando lo Spirito di verità consente alla coscienza umana di partecipare a quel dolore, allora la sofferenza della coscienza diventa particolarmente profonda, ma anche particolarmente salvifica. Allora, mediante un atto di contrizione perfetta, si opera l'autentica conversione del cuore: è l'evangelica «métanoia». La fatica del cuore umano, la fatica della coscienza, in cui si compie questa «métanoia», o conversione, è il riflesso di quel processo per cui la riprovazione viene trasformata in amore salvifico, che sa soffrire. Il dispensatore nascosto di questa forza salvatrice è lo Spirito Santo: egli, che viene chiamato dalla Chiesa «luce delle coscienze», penetra e riempie «la profondità dei cuori» umani. Mediante una tale conversione nello Spirito Santo, l'uomo si apre al perdono, alla remissione dei peccati E in tutto questo mirabile dinamismo della conversione-remissione, si conferma la verità di ciò che scrive sant'Agostino sul mistero dell'uomo, commentando le parole del Salmo: «L'abisso chiama l'abisso». Proprio nei riguardi di questa «abissale profondità» dell'uomo della coscienza umana, si compie la missione del Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo «viene» in forza della «dipartita» di Cristo nel mistero pasquale: viene in ogni fatto concreto di conversione-remissione, in forza del sacrificio della Croce: in esso, infatti, «il sangue di Cristo… purifica le coscienze dalle opere morte, per servire il Dio vivente». Si adempiono così di continuo le parole sullo Spirito Santo come «un altro consolatore», le parole rivolte nel Cenacolo agli apostoli e indirettamente a tutti: «Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi sarà in voi». |