FdC 60 – Un amico mi scrive… di Marco Fanini

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Un amico mi scrive…:

Carissimo padre, se confronto ciò che ero e ciò che sono posso affermare con certezza che una conversione c'è stata. Alcuni atteggiamenti, molti pensieri, diversi atti sono morti, per grazia di Dio. Oggi conosco la preghiera e non posso, ogni giorno, non entrare nel mio cuore per sedermi davanti al mio Signore ed ascoltarlo.

Oggi non posso non confessare i miei peccati, non posso non ricevere l'Eucaristia. Semplicemente non posso perché, come fiore senza acqua, appassirei. Eppure la mia vita è adesso molto più dura. Incomprensioni, ostilità, dispiaceri si moltiplicano, anche nei miei ambiti più vicini.

Mi sembra, a volte, di camminare estraneo in un mondo del quale avverto tutto il dolore ed il male. E l'angoscia, a tratti, sempre più spesso, mi attanaglia serrandomi il cuore con un senso di fine. 

Il Signore ci ama di un amore incomprensibile; ti confesso, padre mio, che il pensiero di un tale amore, così assoluto ed esclusivo, mi impaurisce perché tanti sono gli attaccamenti della carne e non solo. 

Prego sempre il Signore, lo prego piangendo e lo supplico, come un mendicante, che mi renda pronto e forte. Ma la solitudine che provo in questo mondo è terribile. 

Prega per me, padre. Un abbraccio.                                         Marco Fanini

 

Il povero prete risponde:

Carissimo Marco, guarda un po' cosa leggevo poco fa:

«Via via che Dio veramente entra in possesso dell'anima, l'anima avverte la relatività e l'imperfezione di ogni altro amore, l'incapacità per ogni altro amore terreno di colmare i suoi vuoti, di rispondere ai suoi bisogni, di soddisfare pienamente la sua natura; così l'anima che è scelta da Dio, non può, se ha un'esperienza di Dio trovare un qualunque bene creato che possa sostituire l'amore di Dio. 

Non è detto che l'uomo a volte non debba sentire il bisogno di appoggiarsi a qualche creatura. E rimane vero che l'amore di Dio, anche se l'uomo sente di essere amato, non dà direttamente gioia. È l'amore di un Dio, e non ha proporzione con l'essere umano; è un amore che sottrae l'uomo a tutto e non gli dà subito quanto gli promette. Si diceva che nella comunione con Dio è vinta la solitudine: è vinta, sì, ma si entra in un'altra solitudine

L'uomo sente bene che in fondo la sua vita ha acquistato un senso, un valore. E tuttavia Dio non si fa presente nella vita dell'uomo in modo da trasformare la vita presente in vita beata del cielo. Nel confronto con gli altri, che possono in qualche modo anche conoscere qualche gioia, un calore terreno, l'uomo, che è scelto da Dio, rimane incapace di essere soddisfatto quaggiù. La comunione con Dio crea nell'anima un tormento, una sete, un'aspirazione continua; è come se una ferita si aprisse nel profondo. Tutto l'essere aspira ad un bene che è soltanto promesso e al quale non può rinunciare. Non è forse la speranza che distingue la vita cristiana? E la speranza è desiderio che Dio solo può soddisfare.

L'anima religiosa è incontenibile, non chiede più nulla a nessuno, ma vive una sete nell'intimo, che cresce ogni giorno di più perché Dio solo potrebbe soddisfarla, e Dio la soddisfa soltanto dopo la morte. Sembra che Dio, nella misura che si dona all'anima, crei nell'anima una vastità di desiderio, dilati la capacità dell'anima di ricevere, ma non doni che l'insaziabilità. Qualche volta ci vien fatto di dire: "Perché ci hai scelto? Si poteva vivere una vita più tranquilla, serena, e invece la vita sembra divenire ora, a causa tua, sempre più impossibile".

D'altra parte non potremmo nemmeno ritornare alla vita di prima. Potremmo farci distrarre da questa fame di Dio e non sentire il suo vuoto; sentiamo tuttavia di non potervi più rinunciare. Dio ci condanna alla fame e alla sete; si dona non tanto in quanto ci colma, non tanto in quanto ci sfama, ma in quanto ci asseta di Sé, in quanto ci affama» (Don Divo Barsotti, Nello Spirito Santo, Fondazione Barsotti, 140-141). Un forte abbraccio.   P. Armando omv