Ritiri Spirituali da novembre 2004 a gennaio 2010

Novembre 2004
La Cresima
Gennaio 2005
​L'Eucaristia/Parte Prima

Settembre 2005
Le virtù umane, le virtù teologali
e i doni dello Spirito Santo
.

Considerazioni sulla Fede

Ottobre 2005
I Livelli della Fede

 

Da inserire Da inserire
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   
   

 

 

RITIRO SPIRITUALE NOVEMBRE 2004

Il Sacramento della Cresima o Confermazione

 

Questa breve conferenza spirituale ha lo scopo di disporre il vostro cuore alla preghiera, all’incontro con Dio Trinità d’Amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, incontro che siete invitati a fare appena terminato la conferenza.

 

Vogliamo oggi fare oggetto della nostra preghiera il Sacramento della Cresima e ci aiutiamo prendendo in considerazione la formula di conferimento del Sacramento della Cresima.

 

Il vescovo segna il cresimando sulla fronte con il  santo crisma dicendo:

 

“Ricevi il siggilo dello Spirito Santoche ti è dato in dono" – Il cresimato risponde  "Amen".

 

 "La pace sia con te" – "E con il tuo spirito"

 

Per capire questa formula dobbiamo tenere presente che la redenzione dell’umanità voluta dal Padre, effettuata dal Verbo incarnato e partecipata ai singoli dallo Spirito Santo attraverso i Sacramenti della Chiesa, consiste in una rigenerazione spirituale con cui si viene conformati – trasformati nel Figlio: “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore” (2Cor 3,18)

 

Lo Spirito Santo nel s. Battesimo opera un sacro lavacro che ci purifica dai peccati e ci fa nuove creature:

 

Tt 3[3]Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda. [4]Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, [5]egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, [6]effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, [7]perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.

 

Ora, lo Spirito Santo nella s. Cresima ci viene infuso per portare a pienezza quanto ha operato nel s. Battesimo.

 

Nel s. Battesimo l’essere umano viene fatto figlio di Dio, riceve un gran dono! Dono dei doni: chiamare Dio “Abbà” – “Babbo mio” – “Papà” (Gal 4,6). Si tratta di una nuova nascita: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5), nasce una “nuova creatura” (Gal 6,15), “figlia adottiva” (Rm 8,15) di Dio.

 

Ma questa nascita è in germe, è una potenzialità reale che viene immessa nella nostra natura umana che viene elevata nella figliolanza divina. Questo germe non cresce magicamente, ma nel dialogo delle due libertà, quella di Dio e quella nostra. Così come nell’embrione fecondato c’è tutto l’uomo adulto o la donna di domani, c’è già tutto, per cui quell’embrione ha tutta la dignità dell’essere umano, così nel s. Battesimo noi siamo figli di Dio, veri figli di Dio, ma in embrione che deve crescere e fino “allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13).

 

Così come la dignità fondamentale dell’essere umano non cambia dallo stato embrionale allo stato della anzianità, e un anziano non ha né meno né più dignità e valore di fanciullo o di un embrione fecondato, anche la dignità fondamentale del cristiano è uguale e deriva dal s. Battesimo: tutti abbiamo una uguale dignità di figli di Dio: dal bimbo appena battezzato al prete che consacra e assolve, al Santo Padre che conferma (cf Lc 22,32) e guida (cf Gv 21,15-17)

 

La nostra santificazione si realizza in un dialogo d’amore in cui Dio ci chiede se l’amiamo e aspetta la nostra risposta (cf Gv 21, 15-17) attendendo da noi di essere dissetato dall’arsura d’Amore che lo consuma eternamente (cf Gv 4,7; 19,28). Ora perché noi potessimo rispondere a questa sete divina, il Padre e il Figlio hanno riversato nei nostri cuori il loro Amore (cf Rm 5,5), il Solo che permette a noi di riempire la nostra brocca per dissetare la sete di Dio

 

Ora, appunto perché tutti noi potessimo avere la capacità di portare a maturazione il germe divino del s. Battesimo che abbiamo ricevuto e quindi fossimo resi capaci di rispondere da figli di Dio a tutte le istanze che incontriamo nella nostra esistenza terrena, ci viene donato lo Spirito Santo, che è l’Amore stesso del Padre e del Figlio, Amore Onnipotente, Amore Creatore e Rinnovatore di tutto. Potenza d’Amore Infinita che sempre accompagnò e condusse il Figlio di Dio nel suo peregrinare terreno: nel nascondimento iniziale dell’Incarnazione (cf Lc 1,35), nella proclamazione pubblica della sua messianicità (cf Lc 3,22), nel suo cammino verso la morte (cf Lc 4,1).

 

Il Sacramento della s. Cresima è quindi in ordine al dinamismo di crescita della vita battesimale: ricreato nel s. Battesimo a immagine di “Dio Amore” (1Gv 4,8.16) il cristiano per giungere alla “piena maturità di Cristo” (Ef 4,13) deve amare come Gesù, vivendo l’eredità del Maestro: “Vi do un comandamento nuovo che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34).

 

Ora, carissimi fratelli e sorelle, questo ci hanno regalano il Padre e il Figlio nella s. Cresima: il loro Amore perché noi potessimo amare. Ma il Dono viene consegnato in un dialogo d’amore e quindi libero. Ebbene, la nostra libertà in cosa la esercitiamo, qual è l’oggetto precipuo della nostra libertà? Qual’è cioè la scelta libera che rappresenta la nostra parte in questo dialogo d’amore?

 

La nostra parte la indica il Vescovo nella formula di conferimento del Sacramento: “Ricevi”, cioè accogli, cosa? Lo Spirito Santo, cioè l’Amore del Padre e del Figlio, Amore sussistente e onnipotente.

 

Perché dobbiamo accogliere l’Amore? La risposta è ovvia, semplice e facile, eppure allo stesso tempo troppo sconosciuta, travisata e ardua. Cosa può volere mai l’Amore consegnando se stesso? Cosa può desiderare mai l’Amore quando entra in un uomo, in una donna?

 

La risposta è ovvia, semplicissima e facilissima: l’Amore desidera e può desiderare solo di amare e di essere amato. L’Amore si consegna a noi perché solo lasciandoci amare dall’Amore possiamo avere la forza di amare.

 

Ecco dunque la nostra parte nel dialogo d’amore con Dio: LASCIARSI AMARE, ACCOGLIENDO L’AMORE DI DIO NEL NOSTRO CUORE. PERMETTENDO A DIO DI AMARCI COSÌ COME SIAMO, CON I NOSTRI DIFETTI, MANCANZE, IMPERFEZIONI, PECCATI E VIZI, CREDENDO ALLA POTENZA DI UN AMORE PIÙ FORTE DI OGNI PECCATO E MISERIA.

 

Un Amore che ci fa nuovi non una volta, ma sempre e mai si stanca di accoglierci e rifarci nuovi.

 

Vedete, lo sbaglio che facilmente facciamo un po’ tutti è quello di pensare che la nostra risposta a Dio debba primariamente vertere nell’ordine del fare, dell’impegno, dello sforzo, dell’ascesi, non capendo che l’ascesi sarà realmente possibile solo come “frutto” della presenza dell’Amore di Dio nei nostri cuori, ma l’Amore di Dio è frustrato nella sua presenza se noi non gli permettiamo di amarci così come siamo, totalmente, lasciandoci immergerci d’Amore, annegandoci d’Amore. Finché noi vorremmo nuotare e non annegare nell’Oceano dell’Amore di Dio non possiamo trasformarci in Amore.

 

“Ricevi”, cioè “lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo” (Lc 1,35): Lui scende, tu devi accoglierLo. Maria ci insegna il come: “Si faccia di me secondo la tua parola” (Lc 1,37). Maria si pone passivamente nei confronti dello Spirito: Faccia Lui, faccia pure, faccia quello che vuole! E Lui fece l’Incarnazione! La bellezza e lo splendore della Verginità di Maria consiste essenzialmente in questa sua capacità di ricevere lo Spirito Santo. Si tratta di una passività che è attiva recettività: capacità di disporre se stessi ad accogliere l’Amore Potente e Infuocato di Dio e lasciarsi lavorare dall’Amore, cioè lasciarsi amare. Attiva recettività: tutta l’attività, lo sforzo, l’impegno di Maria non fu nel fare qualcosa per Dio, ma nel lasciarsi fare da Dio, lasciarsi plasmare dallo Spirito Santo, poiché Egli è Amore sussistente, tutto questo significa lasciarsi amare dall’Eterno Amore.

 

Il Dono di Dio ricevuto nella s. Cresima è l’Amore sussistente del Padre e del Figlio che è sceso con potenza su di noi rendendoci capaci di rispondere al dono ricevuto nel s. Battesimo di essere figli di Dio. Il s. Battesimo è una configurazione a Gesù Cristo operata dallo Spirito in un “lavacro di rigenerazione” che realizza in noi la nascita di una nuova creatura, il s. Battesimo è il Sacramento della nascita, dell’inizio della vita di figlio di Dio. Questa vita però non cresce magicamente, ma nel dialogo delle due libertà: quella di Dio e quella nostra, perché potessimo rispondere adeguatamente alle istanze del Padre su di noi, lo Spirito Santo opera una ulteriore nostra conformazione a Gesù Cristo nel sacramento della s. Cresima, comunicandoci l’attitudine di Gesù Cristo a lasciarsi condurre in tutto dallo Spirito Santo, cioè dall’Amore sussistente, a lasciarsi quindi condurre dall’Amore per vivere d’Amore e morire d’Amore.

 

CCC 1304 Come il Battesimo, di cui costituisce il compimento, la Confermazione è conferita una sola volta. Essa infatti imprime nell'anima un marchio spirituale indelebile, il “carattere”;    è il segno che Gesù Cristo ha impresso sul cristiano il sigillo del suo Spirito rivestendolo di potenza dall'alto perché sia suo testimone [Cf Lc 24,48-49].

 

Non si può dir nulla della s. Cresima che non sia riferimento a quanto già ricevuto nel s. Battesimo di cui è “compimento”, la s. Cresima conferma il s. Battesimo e lo conferma non in riferimento all’essere figli di Dio, perché con il Battesimo siamo pienamente e perfettamente figli di Dio, non ci manca nulla di dignità e gloria, lo conferma in riferimento alla sua vitalità, alla sua crescita e sviluppo che non si attua senza la nostra partecipazione, senza il nostro “SÌ” rinnovato in ogni situazione o circostanza della nostra esistenza.

 

La s. Cresima è conferita al battezzato “perché sia suo testimone”, è dunque il Sacramento della testimonianza, il cresimato è un testimone, ma testimone di che cosa? Testimone del s. Battesimo che ha ricevuto. Testimone, cioè si presenta al mondo come figlio di Dio. Testimone, cioè persona che vive il Vangelo di Gesù Cristo e quindi che testimonia al mondo, cioè fa vedere al mondo, rende presente nel mondo l’Amore di Gesù con una vita simile alla sua, che ne ricalca le orme (cf 1Pt 2,21). Testimone, dunque persona che ama come ha amato Gesù Cristo, vivendo quanto Lui ha comandato di vivere a chi volesse essere suo discepolo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). La s. Cresima è dunque il Sacramento dell’Amore che si rende presente nel battezzato come forza e potenza di vita, di testimonianza, rendendo possibile amare come Gesù.

 

Per amare come Gesù bisogna essere come Gesù, per questo riceviamo i Sacramenti del s. Battesimo e della s. Cresima che ci conformano a Gesù nel suo essere figlio di Dio (s. Battesimo) e nella sua capacità di amare come Lui (s. Cresima). Per questo il s. Battesimo ha bisogno di essere confermato dalla s. Cresima.

 

 

Ritiro Spirituale Gennaio 2005
L’Eucaristia/ Prima Parte

 

Eucaristia è una parola greca che vuol dire rendere grazie, ringraziare.

 

L’atteggiamento del ringraziamento è dunque talmente importante nella celebrazione della S. Messa al punto da dare il suo stesso nome allo stesso sacramento: Eucaristia!

 

La partecipazione all’Eucaristia suppone un’anima eucaristica, una persona, cioè, che sa riconoscere i doni di Dio nella sua vita. La partecipazione frequente all’Eucaristia rende sempre maggiormente sensibile il fedele al ringraziamento e quindi al riconoscimento stupito e commosso di quanto il buon Dio fa per Lui.

 

Il CCC parlando di questo mischia quasi identificandoli rendimento di grazie e lode.

 

1359 L'Eucaristia, sacramento della nostra salvezza realizzata da Cristo sulla croce, è anche un sacrificio di lode in rendimento di grazie per l'opera della creazione. Nel sacrificio eucaristico, tutta la creazione amata da Dio è presentata al Padre attraverso la morte e la Risurrezione di Cristo. Per mezzo di Cristo, la Chiesa può offrire il sacrificio di lode in rendimento di grazie per tutto ciò che Dio ha fatto di buono, di bello e di giusto nella creazione e nell'umanità.

 

 

 

1360 L'Eucaristia è un sacrificio di ringraziamento al Padre, una benedizione con la quale la Chiesa esprime la propria riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici, per tutto ciò che ha operato mediante la creazione, la redenzione e la santificazione. Eucaristia significa prima di tutto: azione di grazie.

 

 

 

1361 L'Eucaristia è anche il sacrificio della lode, con il quale la Chiesa canta la gloria di Dio in nome di tutta la creazione. Tale sacrificio di lode è possibile unicamente attraverso Cristo: egli unisce i fedeli alla sua persona, alla sua lode e alla sua intercessione, in modo che il sacrificio di lode al Padre è offerto da Cristo e con lui per essere accettato in lui.

 

La lode è il compiacersi di ciò che Dio è e che viene colto presente in se stessi e nel mondo. Dio è bello, è grande, è onnipotente, è giusto, è santo, ecc., quando cogliamo in noi o attorno a noi qualcosa che ci parla di Lui, noi siamo spinti alla lode, cioè a dichiarargli il nostro compiacimento, la nostra soddisfazione interiore di vederLo, di entrare in contatto con Lui.

 

La presenza di Dio suscita la lode perché Dio è bello!

 

La persona che coglie questa presenza di Dio è spinta alla lode e nella lode anche al ringraziamento, perché è bello stare alla presenza di Dio, è bello cogliere la presenza di Dio, è bello esperimentare la presenza di Dio.

 

È bello, cioè è qualcosa che piace al cuore, che suscita gioia, serenità, pace, perché “Dio è Amore” (1Gv 4,8.16) e appena noi ci accorgiamo di Lui non possiamo non sentirci amati, entriamo in contatto con l’Amore Sostanziale, ci sentiamo avvolti d’amore.

 

Nella S. Messa, dunque, noi riconosciamo “tutto ciò che Dio ha operato mediante la creazione, la redenzione e la santificazione” e Lo lodiamo e Lo ringraziamo in Gesù. Nella S. Messa facciamo nostra la lode e nostro il ringraziamento di Gesù al Padre.

 

AIUTO PER LA PREGHIERA PERSONALE

 

· Ci mettiamo alla presenza di Dio presente nell’intimo del nostro cuore.

 

 

 

· Invochiamo lo Spirito Santo che ci introduca nel luogo dell’incontro con il Padre:

 

 

 

“Consolatore degli afflitti, dissipa le mie tenebre e le mie tristezze. Spirito di Verità, liberami dall’errore e dall’ignoranza. Dono che superi ogni altro dono, ricolmami della Tua virtù. Fonte dell’Acqua viva, estingui la fiamma del vizio, purifica la mia anima, eleva il mio cuori all’amore, all’adorazione di Te solo col Padre e col Figlio. Miele soavissimo, riempi la mia bocca della Tua soavità. Tu sei Dono che dimori nella mia anima come in un tempio e la rendi gradita a Te, al Padre e al Figlio, ed erede del regno col dono della grazia infusa; Tu sei Fuoco che consuma tutti i miei peccati e tutti i miei vizi e con l’infusione della carità infiammi il mio cuore; Tu sei la Sorgente dell’Acqua viva che disseta la mia sete di verità; Tu sei il Vento propizio che fa avanzare la mia piccola barca, senza Te non arriverei mai a nessun porto; Tu sei, in una parola, il Primo Dono, l’Autore di tutti i doni, da cui proviene a me ogni bene e senza cui nessun bene potrei mai ricevere. Amen”

 

· Chiediamo l’aiuto della Vergine Maria: Ave Maria, piena di grazia…

 

 

 

· Chiediamo la grazia dello stupore e commozione per quanto Dio ha fatto, fa e farà per me.

 

 

 

PUNTI PER L’ORAZIONE

 

1. La creazione: chiedo allo Spirito Santo che mi partecipi lo sguardo di Gesù sul creato:

 

 

 

Mt 6 [26]Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro…[28]… Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. [29]Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. [30]Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? [31]Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?

 

2. La redenzione…, qui ci lasciamo aiutare da Gesù Crocifisso… uno sguardo alla sua passione, alle sue “forti grida e lacrime” (Eb 5,7) che Egli offrì al Padre per me.

 

 

 

3.   La santificazione…, l’opera della grazia dello Spirito Santo in noi…, qui ci lasciamo aiutare da Colei che è stato il Capolavoro dello Spirito Santo:

 

 

 

“L'anima mia magnifica il Signore Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente

 

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, e Santo è il suo nome:

 

perché ha guardato l'umiltà della sua serva. di generazione in generazione la sua misericordia

 

D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. si stende su quelli che lo temono” – Lc 1,46-50

4. Dando uno sguardo alla mia vita posso chiedermi:

 

· Quali sono i doni personali più grandi che Dio ha fatto a me?

 

 

 

· Quali sono i doni personali che Dio in questo momento della mia vita mi sta elargendo?

 

 

 

 

 

Terminare la recita lenta e affettuosa del Padre nostro.

 

Altissimo, onnipotente, bon Signore,

tue so le laude, la gloria e l’onore

e onne benedizione.

A te solo, Altissimo, se confano

e nullo omo è digno te mentovare.

 

Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature,

spezialmente messer lo frate Sole,

lo quale è iorno, e allumini noi per lui.

Ed ello è bello e radiante cun grande splendore:

de te, Altissimo, porta significazione.

 

Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:

in cielo l’hai formate clarite e preziose e belle.

Laudato si, mi Signore, per frate Vento,

 

e per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo,

per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

 

Laudato si, mi Signore, per sor Aqua,

la quale è molto utile

e umile e preziosa e casta.

 

Laudato si, mi Signore, per frate Foco,

per lo quale enn’allumini la nocte:

ed ello è bello e iocondo e robustoso e forte.

 

Laudato si, mi Signore, per sora nostra madre Terra,

la quale ne sostenta e governa,

e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba.

 

Laudato si, mi Signore,

per quelli che perdonano per lo tuo amore

e sostengo infirmitate e tribulazione.

Beati quelli che ‘l sosterrano in pace,

ca da te, Altissimo, sirano incoronati.

 

Laudato si, mi Signore,

per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullo omo vivente po’ scampare.

Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!

Beati quelli che troverà ne le tue sanctissime voluntati,

ca la morte seconda no li farrà male.

 

Laudate e benedicite mi Signore, e rengraziate

e serviteli cun grande umiltate.

 

S. Francesco d’Assisi

 

 

 

Sap 11 [22]Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia,

 

come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.

 

[23]Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi,

 

non guardi ai peccati degli uomini,

 

in vista del pentimento.

 

[24]Poiché tu ami tutte le cose esistenti

 

e nulla disprezzi di quanto hai creato;

 

se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata.

 

[25]Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?

 

O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza?

 

[26]Tu risparmi tutte le cose,

 

perché tutte son tue, Signore, amante della vita,

 

 

 

Sal 19 [2] I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. [3]Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia.

 

[4]Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono. [5]Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola.

 

[6]Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via.

 

[7]Egli sorge da un estremo del cielo e la sua corsa raggiunge l'altro estremo: nulla si sottrae al suo calore.

 

 

 

Sal 8 [2]O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.

 

[3]Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

 

[4]Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, [5]che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?

 

[6]Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: [7]gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi;

 

[8]tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna;

 

[9]Gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare.

 

[10]O Signore, nostro Dio,

 

quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

 

 

Ritiro Spirituale Febbraio 2005
L’Eucaristia/ Seconda Parte

 

La santa Eucaristia è il memoriale del sacrificio di Cristo e del suo Corpo, la Chiesa

 

Memoriale è un termine che indica non semplicemente un ricordo psicologico, cioè un far memoria, ma anche un rendere efficacemente e presente ciò di cui si fa memoria. È lo Spirito Santo che opera questa mirabile presenza.

 

Quanto si realizzò sul Calvario viene ad essere presente, nei segni sacramentali, in ogni Eucaristia, Gesù rinnova la sua offerta d’amore e ci presenta il suo Corpo Immolato per noi, il suo Sangue versato per noi dicendoci: “Prendete e mangiate… prendete e bevete…”.

 

Partecipare al banchetto dell’Eucaristia significa partecipare intimamente alla consegna d’amore di Gesù. Significa partecipare intimamente alla Passione d’amore di Gesù:

 

 

 

· Passione d’Amore verso il Padre

 

· Passione d’Amore verso i fratelli

 

 

 

Mai dobbiamo dimenticarci che ciò che muove il Figlio ad incarnarsi e a morire sulla croce è l’amore per il Padre: Egli è il Figlio ubbidiente il cui “cibo è fare la volontà del Padre” (Gv 4,34) e in quest’amore primario e assoluto, c’è anche l’amore che il Figlio di Dio porta per ciascuno di noi, fratelli suoi:

 

 

 

«Mio Redentore, tu amasti tanto l’uomo che chi riflette su questo amore non può non amarti, perché il tuo amore fa violenza sui cuori! E la ragione di tanto amore verso gli uomini è il suo amore per il Padre. Ecco perché durante l’ultima cena, rivolgendosi agli Apostoli, dice: “Il mondo deve capire che io amo il Padre e che faccio esattamente come mi ha comandato. Alzatevi, andiamo via “ (Gv 14,31) Ma dove? A morire pr gli uomini sulla croce. Certo, non si potrà mai comprendere l’ardore del fuoco di amore del cuore di Gesù… Se gli fosse stato comandato di affrontare non una, ma mille morti, tante ne avrebbe sofferte; e se il Padre gli avesse imposto di morire per uno solo, lo avrebbe fatto come l’ha fatto per tutti. E anche sulla croce, se invece di tre ore fosse stato necessario rimanervi fino al giorno del giudizio, egli, sempre per amore, vi sarebbe rimasto. Dunque, Cristo ha più amato che sofferto! O amore di un Dio, tu sei tanto più grande di quanto tu riesca a dimostrarlo! Le piaghe del tuo corpo ci parlano del tuo amore, ma non abbastanza della grandezza di questo amore. È nell’intimo del tuo cuore che è nascosta la grandezza. Le piaghe sono solo una scintilla di questo immenso amore».

 

S. Giovanni d’Avila,

 

 

 

Il sacrificio del Figlio per la sua passione d’amore per il Padre e per i fratelli, comportò, come suo apice, la sua consegna d’amore sulla croce: “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46), ma dobbiamo leggere non solo la croce, ma tutta la vita terrena del Figlio di Dio come sacrificio, cioè come offerta, oblazione, di sé al Padre per amore.

 

La Lettera agli Ebrei, dopo aver parlato dell’inutilità dei sacrifici della Liturgia del V.T. che non purificavano dal peccato, dice.

 

«È impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà» – Eb 10 4-7 – cf Sal 40,7-9.

 

 

 

“Tu non hai voluto né sacrifico né offerta”, cioè il Figlio, praticamente dice:“Le immolazioni di animali e le offerte dei beni materiali, non potevano riparare al peccato degli uomini, per questo Tu, o Padre, hai preparato un corpo per me, perché Te l’offrissi e Io ho accettato e ho detto: Eccomi, Padre, per fare la Tua volontà”.

 

 

 

Quell’“Eccomi” del Figlio che accoglie come suo il corpo che il Padre gli presenta è il mistero dell’Incarnazione: Al “Sì” di Maria “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14), il Figlio di Dio assume una natura umana, prende un corpo mortale, per offrirsi al Padre per noi. È l’inizio del sacrificio che avrà il suo culmine d’amore sulla Croce.

 

Tutto questo è importante tenerlo presente in riferimento all’Eucaristia che è memoriale di tutto il sacrificio di Cristo, è comprensivo quindi di tutta la sua vita mortale, istante per istante, dall’incarnazione alla morte è tutta inclusa nell’Eucaristia.

 

L’Eucaristia è dunque memoriale della kénosi totale del Verbo, cioè del suo abbassamento con cui si è spogliato della propria divinità per assumere un corpo mortale e poter così morire (cf Fil 2,6-8), è memoriale della grotta, della mangiatoia che l’accolse come sua prima casa e culla, è memoriale della vita nascosta a Nazareth, è memoriale del suo pellegrinaggio d’amore lungo la Palestina, è memoriale soprattutto della sua Passione, del suo Corpo vilipeso e massacrato, è memoriale del suo Corpo Immolato, del suo Sangue versato, è memoriale della sua risurrezione e ascensione al Cielo, è memoriale dell’effusione del suo Santo Spirito.

 

In altre parola l’Eucaristia è memoriale dell’amore di nostro Signore Gesù Cristo per il Padre e per l’umanità. In ogni Eucaristia ci troviamo significato e contenuto tutto l’amore con cui il Figlio di Dio ci ha amato, attimo per attimo, dall’incarnazione alla morte e risurrezione. L’Eucaristia è dunque è un superconcentrato dell’amore di Gesù.

 

Ora bisogna tenere presente che oggi Gesù, rinnovando il suo sacrificio d’amore sacramentalmente per le mani del sacerdote rende presente, per la potenza dello Spirito Santo, il suo Corpo immolato, il suo Sangue versato, il suo sacrificio d’amore e lo presenta al Padre insieme al sacrificio del suo Corpo che è la Chiesa.

 

Per cui non ci sono due sacrifici: quello di Gesù e quello della Chiesa, ma un unico sacrificio, un’unica immolazione d’amore, quella di Gesù insieme a quella della Chiesa. Cosa vuol dire questo? È importante capirlo. Dal momento in cui lo si capisce, la s. Messa è tutt’un'altra cosa!

 

Significa che ciascun cristiano partecipando alla s. Messa si sta offrendo con Gesù al Padre, presenta al Padre la propria vita. La vita di ciascun cristiano viene presentata al Padre non distinta dalla vita di Gesù, ma viene inserita nell’unico sacrificio di Gesù Cristo, Capo e Membra formano il Corpo Mistico di Gesù Cristo. Per questo il sacerdote mischia dell’acqua al vino: perché sia segno di quest’unione nostra a Gesù: la povera acqua della nostra piccola vita diventa Sangue di Gesù Cristo offerto per la salvezza dell’umanità.

 

Significa, inoltre, che come l’immolazione di Gesù Cristo non riguarda solo la sua morte di croce, ma tutta la sua vita, così per il cristiano che offre la sua vita con Gesù: il lavoro, le gioie, i dolori, le fatiche, le ansie, le speranze, il riposo stesso, tutto viene offerto con l’offerta d’amore di Gesù e tutto così diventa AMORE che si offre e si consegna al Padre e ai fratelli. Perché tutto ciò si possa attuare, occorre però da parte di ciascun cristiano che sappia ripetere nel suo cuore quello che disse Gesù entrando nel mondo: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà… Padre, sia fatta la tua volontà su di me!». Ognuno di noi dovrebbe saper dire con amore in ogni istante, qualunque cosa faccia: “Eccomi, Padre!”:

 

«Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» Rm 12,1-2.

 

Vedete bene dunque come la nostra vita è portata tutta e offerta nella s. Messa. È in questa offerta che trova significato il nostro gioire e il nostro soffrire: tutto deve essere mischiato al vino per diventare Sangue di Dio.

 

 

 

Dal C.C.C.

 

1362 L'Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, l'attualizzazione e l'offerta sacramentale del suo unico sacrificio, nella Liturgia della Chiesa, che è il suo Corpo.

 

1366 L'Eucaristia è dunque un sacrificio perché ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il frutto.

 

1367 Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell'Eucaristia sono un unico sacrificio: “Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi”. “E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che "si offrì una sola volta in modo cruento" sull'altare della croce questo sacrificio è veramente propiziatorio [=ci rende propizio Dio, cioè ripara i peccati dell’umanità]” [Concilio di Trento].

 

1368 L'Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa. La Chiesa, che è il Corpo di Cristo, partecipa all'offerta del suo Capo. Con lui, essa stessa viene offerta tutta intera. Essa si unisce alla sua intercessione presso il Padre a favore di tutti gli uomini. Nell'Eucaristia il sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo Corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo. Il sacrificio di Cristo riattualizzato sull'altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di essere uniti alla sua offerta.

 

 

RITIRO SPIRITUALE SETTEMRBE 2005

LE VIRTÙ UMANE, LE VIRTÙ TEOLOGALI E I DONI DELLO SPIRITO SANTO

SECONDO QUANTO INSEGNA LA CHIESA NEL SUO CATECHISMO

 

1803 “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8).

 

La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Essa consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete.

 

Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simili a Dio [San Gregorio di Nissa, Orationes de beatitudinibus, 1: PG 44, 1200D].

 

 

 

1804 Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene.

 

 Le virtù morali vengono acquisite umanamente. Sono i frutti e i germi di atti moralmente buoni; dispongono tutte le potenzialità dell'essere umano ad entrare in comunione con l'amore divino.

 

 

Distinzione delle virtù cardinali

 

1805 Quattro virtù hanno funzione di cardine. Per questo sono dette “cardinali”; tutte le altre si raggruppano attorno ad esse. Sono: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. “Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza” ( Sap 8,7 ). Sotto altri nomi, queste virtù sono lodate in molti passi della Scrittura.

 

 

 

1806 La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. L'uomo “accorto controlla i suoi passi” (Pr 14,15). “Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera” (1Pt 4,7). La prudenza è la “retta norma dell'azione”, scrive san Tommaso [San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 47, 2] sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. E' detta “auriga virtutum” – cocchiere delle virtù: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. E' la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L'uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.

 

 

 

1807 La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata “virtù di religione”. La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune. L'uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri sacri, si distingue per l'abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso il prossimo. “Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia” (Lv 19,15). “Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo” (Col 4,1).

 

 

 

1808 La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa. “Mia forza e mio canto è il Signore” (Sal 118,14). “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).

 

 

 

1809 La temperanza è la virtù morale che modera l'attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell'uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell'onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio “istinto” e la propria “forza assecondando i desideri” del proprio “cuore” (Sir 5,2) [Cf Sir 37,27-31]. La temperanza è spesso lodata nell'Antico Testamento: “Non seguire le passioni; poni un freno ai tuoi desideri” (Sir 18,30). Nel Nuovo Testamento è chiamata “moderazione” o “sobrietà”. Noi dobbiamo “vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo” (Tt 2,12).

 

 

 

Vivere bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, e con tutto il proprio agire. Gli si dà (con la temperanza) un amore totale che nessuna sventura può far vacillare (e questo mette in evidenza la fortezza), un amore che obbedisce a lui solo (e questa è la giustizia), che vigila al fine di discernere ogni cosa, nel timore di lasciarsi sorprendere dall'astuzia e dalla menzogna (e questa è la prudenza) [Sant’Agostino, De moribus ecclesiae catholicae, 1, 25, 46: PL 32, 1330-1331].

 

 

Le virtù e la grazia

 

 1810 Le virtù umane acquisite mediante l'educazione, mediante atti deliberati e una perseveranza sempre rinnovata nello sforzo, sono purificate ed elevate dalla grazia divina. Con l'aiuto di Dio forgiano il carattere e rendono spontanea la pratica del bene. L'uomo virtuoso è felice di praticare le virtù.

 

 

 

 1811 Per l'uomo ferito dal peccato non è facile conservare l'equilibrio morale. Il dono della salvezza fattoci da Cristo ci dà la grazia necessaria per perseverare nella ricerca delle virtù. Ciascuno deve sempre implorare questa grazia di luce e di forza, ricorrere ai sacramenti, cooperare con lo Spirito Santo, seguire i suoi inviti ad amare il bene e a stare lontano dal male.

 

 

 

1812 Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le facoltà dell'uomo idonee alla partecipazione alla natura divina [Cf 2Pt 1,4]. Le virtù teologali, infatti, si riferiscono direttamente a Dio. Esse dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino.

 

 

 

 1813 Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da Dio nell'anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano. Tre sono le virtù teologali: la fede, la speranza e la carità [Cf 1Cor 13,13 ].

 

 

La fede

 

 1814 La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la Santa Chiesa ci propone da credere, perché egli è la stessa verità. Con la fede “l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 5]. Per questo il credente cerca di conoscere e di fare la volontà di Dio. “Il giusto vivrà mediante la fede” (Rm 1,17). La fede viva “opera per mezzo della carità” (Gal 5,6).

 

 

 

1815 Il dono della fede rimane in colui che non ha peccato contro di essa [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1545]. Ma “la fede senza le opere è morta” (Gc 2,26): se non si accompagna alla speranza e all'amore, la fede non unisce pienamente il fedele a Cristo e non ne fa un membro vivo del suo Corpo.

 

 

 

 1816 Il discepolo di Cristo non deve soltanto custodire la fede e vivere di essa, ma anche professarla, darne testimonianza con franchezza e diffonderla: “Devono tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via della Croce attraverso le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42; cf Id. , Dignitatis humanae, 14]. Il servizio e la testimonianza della fede sono indispensabili per la salvezza: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32-33).

 

 

La speranza

 

 1817 La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il Regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo. “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso” (Eb 10,23). Lo Spirito è stato “effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, Salvatore nostro, perché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna” (Tt 3,6-7).

 

 

 

1818 La virtù della speranza risponde all'aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al Regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell'attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall'egoismo e conduce alla gioia della carità.

 

 

 

1819 La speranza cristiana riprende e porta a pienezza la speranza del popolo eletto, la quale trova la propria origine ed il proprio modello nella speranza di Abramo, colmato in Isacco delle promesse di Dio e purificato dalla prova del sacrificio [Cf Gen 17,4-8; Gen 22,1-18]. “Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli” (Rm 4,18).

 

 

 

1820 La speranza cristiana si sviluppa, fin dagli inizi della predicazione di Gesù, nell'annuncio delle beatitudini. Le beatitudini elevano la nostra speranza verso il Cielo come verso la nuova Terra promessa; ne tracciano il cammino attraverso le prove che attendono i discepoli di Gesù. Ma per i meriti di Gesù Cristo e della sua Passione, Dio ci custodisce nella “speranza” che “non delude” (Rm 5,5). La speranza è l'“àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra. . . ” là “dove Gesù è entrato per noi come precursore” (Eb 6,19-20). È  altresì un'arma che ci protegge nel combattimento della salvezza: “Dobbiamo essere. . . rivestiti con la corazza della fede e della carità, avendo come elmo la speranza della salvezza” (1Ts 5,8). Essa ci procura la gioia anche nella prova: “lieti nella speranza, forti nella tribolazione” (Rm 12,12). Si esprime e si alimenta nella preghiera, in modo particolarissimo in quella del Pater, sintesi di tutto ciò che la speranza ci fa desiderare.

 

 

 

1821 Noi possiamo, dunque, sperare la gloria del cielo promessa da Dio a coloro che lo amano [Cf Rm 8,28-30] e fanno la sua volontà [Cf Mt 7,21]. In ogni circostanza ognuno deve sperare, con la grazia di Dio, di perseverare “sino alla fine” [Cf Mt 10,22; 1821 cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1541] e ottenere la gioia del cielo, quale eterna ricompensa di Dio per le buone opere compiute con la grazia di Cristo. Nella speranza la Chiesa prega che “tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4). Essa anela ad essere unita a Cristo, suo Sposo, nella gloria del cielo:

 

 

 

Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l'ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che quanto più lotterai, tanto più proverai l'amore che hai per il tuo Dio e tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una felicità ed in un'estasi che mai potranno aver fine [Santa Teresa di Gesù, Esclamazioni dell’anima a Dio, 15, 3].

 

 

La carità

 

1822 La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.

 

 

 

1823 Gesù fa della carità il comandamento nuovo [Cf Gv 13,34]. Amando i suoi “sino alla fine” ( Gv 13,1 ), egli manifesta l'amore che riceve dal Padre. Amandosi gli uni gli altri, i discepoli imitano l'amore di Gesù, che essi ricevono a loro volta. Per questo Gesù dice: “Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). E ancora: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12).

 

 

 

1824 La carità, frutto dello Spirito e pienezza della legge, osserva i comandamenti di Dio e del suo Cristo: “Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore” (Gv 15,9-10) [Cf Mt 22,40; Rm 13,8-10].

 

 

 

 1825 Cristo è morto per amore verso di noi, quando eravamo ancora “nemici” (Rm 5,10). Il Signore ci chiede di amare come lui, perfino i nostri nemici , [Cf Mt 5,44] di farci il prossimo del più lontano, [Cf Lc 10,27-37] di amare i bambini[Cf Mc 9,37] e i poveri come lui stesso [Cf Mt 25,40; 1825 Mt 25,45].

 

 

 

 L'Apostolo san Paolo ha dato un ineguagliabile quadro della carità: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,4-7).

 

 

 

1826 “Se non avessi la carità, dice ancora l'Apostolo, non sono nulla. . . ”. E tutto ciò che è privilegio, servizio, perfino virtù. . . senza la carità, “niente mi giova” (1Cor 13,1-4). La carità è superiore a tutte le virtù. E' la prima delle virtù teologali: “Queste le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità” (1Cor 13,13).

 

 

 

1827 L'esercizio di tutte le virtù è animato e ispirato dalla carità. Questa è il “vincolo di perfezione” (Col 3,14); è la forma delle virtù; le articola e le ordina tra loro; è sorgente e termine della loro pratica cristiana. La carità garantisce e purifica la nostra capacità umana di amare. La eleva alla perfezione soprannaturale dell'amore divino.

 

 

 

 1828 La pratica della vita morale animata dalla carità dà al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio. Egli non sta davanti a Dio come uno schiavo, nel timore servile, né come il mercenario in cerca del salario, ma come un figlio che corrisponde all'amore di colui che “ci ha amati per primo” (1Gv 4,19):

 

O ci allontaniamo dal male per timore del castigo e siamo nella disposizione dello schiavo. O ci lasciamo prendere dall'attrattiva della ricompensa e siamo simili ai mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l'amore di colui che comanda che noi obbediamo. . . e allora siamo nella disposizione dei figli [San Basilio di Cesarea, Regulae fusius tractatae, prol. 3: PG 31, 896B].

 

 

 

1829 La carità ha come frutti la gioia, la pace e la misericordia; esige la generosità e la correzione fraterna; è benevolenza; suscita la reciprocità, si dimostra sempre disinteressata e benefica; è amicizia e comunione:

 

 

 

Il compimento di tutte le nostre opere è l'amore. Qui è il nostro fine; per questo noi corriamo, verso questa meta corriamo; quando saremo giunti, vi troveremo riposo [Sant’Agostino, In epistulam Johannis ad Parthos tractatus, 10, 4].

 

 

 

1830 La vita morale dei cristiani è sorretta dai doni dello Spirito Santo. Essi sono disposizioni permanenti che rendono l'uomo docile a seguire le mozioni dello Spirito Santo.

 

 

 

1831 I sette doni dello Spirito Santo sono la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio. Appartengono nella loro pienezza a Cristo, Figlio di Davide [Cf Is 11,1-2]. Essi completano e portano alla perfezione le virtù di coloro che li ricevono. Rendono i fedeli docili ad obbedire con prontezza alle ispirazioni divine.

 

Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana (Sal 143,10).

 

 Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. . . Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo (Rm 8,14; Rm 8,17).

 

 

 

1832 I frutti dello Spirito sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in noi come primizie della gloria eterna. La Tradizione della Chiesa ne enumera dodici: “amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità” (Gal 5,22-23 vulg).

 

 

CONSIDERAZIONI SULLA FEDE.

 

“La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” – Eb 11,1

 

 

 

La fede è la prima delle virtù teologali, cioè di quelle virtù che hanno come oggetto, come termine DIO:

 

 

 

· Dio in quanto SOMMA VERITÀ CREDUTA: FEDE

 

 

 

· Dio in quanto SOMMO BENE DESIDERATO: SPERANZA

 

 

 

· Dio in quanto SOMMO BENE AMATO: CARITA’.

 

 

 

 

 

Il CV2 così definisce la virtù teologale della fede al n. 5 della DV:

 

A Dio che si rivela è dovuta l'“obbedienza della fede” (Rm 16,26; cfr Rm 1,5; 2Cor 10,5-6) con la quale l'uomo si abbandona a Dio tutt'intero liberamente prestandogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui.

 

Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e da a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità. Affinché poi l'intelligenza della rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni.

 

 

 

La fede quindi è OBBEDIENZA A DIO, in Rm 16,25-26 san Paolo parla della fede come termine del disegno nascosto di Dio che si rivela nel VANGELO perché tutti “obbediscano” alla fede. D'altra parte “chi non crede a Dio, fa di lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio” – 1Gv 5,10. “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” – Gv 14,1

 

Ma questa obbedienza non è automatica, non è semplice, non è scontata perché non è evidente, è obbedienza vissuta nella fede che è sì luce perché mi fa credere in Dio, ma è tenebra perché lo vediamo ancora confusamente, S. Paolo dirà "come in uno specchio": "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia" (1Cor 13,12) tenendo presente che gli specchi di allora non riflettevano così come i nostri di adesso.

 

 

 

La fede è quindi anche ABBANDONO: cioè è chiudere gli occhi e gettarsi nel vuoto di un'avventura in cui scommettiamo tutto, puntiamo tutto su Dio.

 

Nonostante la superficialità di tutto il contesto di uno dei films su “Indiana Jones” quello in cui il protagonista era alla ricerca del sacro calice di Gesù, in esso vi è un momento di alta espressione religiosa, quando, alla fine della ricerca, la mappa indica un sentiero che congiunge due pareti rocciose opposte, ma non c’è nessun ponte, nessun mezzo per passare altra roccia, qui il protagonista capisce, tramite un’indicazione della mappa, che il sentiero su cui deve camminare è quello della FEDE e allora fa un passo nel vuoto e – miracolosamente – i suoi piedi si appoggiano su un ponte che appare proprio quando lui fa il primo passo nel vuoto.

 

La fede è proprio questo: camminare nel vuoto o meglio sul vuoto, senza nessun sostegno se non lei stessa.

 

 

 

Per questo la fede non è semplicemente frutto di un atto umano, essa è essenzialmente DONO DI DIO che mi spinge a credere e mi sostiene nel mio atto di fede e mi perfeziona in essa continuamente. Dio quindi con la sua azione interviene all'origine della fede, interviene nel mantenimento di essa e interviene nel perfezionamento di essa.

 

 

 

Da ciò ne consegue la considerazione che la FEDE non è una realtà statica, ma dinamica, una realtà in divenire, per cui l'ABBANDONO che essa richiede non è un tuffarsi una volta per sempre, ma è un continuo gettarsi nel buio di una verità creduta, sperata e amata, ma che ancora non vediamo che confusamente.

 

Mt 14 [29]Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. [30]Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. [31]E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?".

 

Lc 17 [5]Gli apostoli dissero al Signore: [6]"Aumenta la nostra fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.

 

Mc 9 "[22]…Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. [23]Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. [24]Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: "Io credo, ma tu aiuta la mia incredulità".

 

 

 

La fede pur illuminando l'esistenza non ne elimina tutti i “perché” che l'uomo grida al cospetto di Dio: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo" – Lc 2,48.

 

 

 

Il credente è uno in continua ricerca e si può dire che sia un non credente che si sforza ogni giorno di cominciare a credere… se così non fosse la fede sarebbe un'ideologia, una presunzione di aver tutto compreso, e non il continuo ritorno e il sempre nuovo affidamento a Dio. La fede, insomma è sempre a rischio ed esige un continuo alimento d'amore.

 

 

 

L'indifferente, l’agnostico, lo scettico non è altro che una vittima della pigrizia spirituale che porta a sfuggire le “domande vere”.

 

 

 

Dobbiamo quindi tutti crescere e perfezionarci nella fede e in questa crescita è senz'altro importante la comunicazione della fede attraverso la testimonianza, che ha come effetto l’aumento reciproco e il sostegno della nostra fede.

 

 

 

Ricordo alcuni ambiti importanti della nostra testimonianza della fede:

 

· quando preghiamo insieme con fervore,

 

· quando parliamo con semplicità della nostra esperienza di Dio e del suo amore,

 

· quando sappiamo elevare i discorsi dal materiale allo spirituale,

 

· ma è soprattutto nella partecipazione all'Eucarestia che noi abbiamo la nostra massima espressione di fede e nello stesso tempo il massimo aiuto per il suo consolidamento e perfezionamento.

 

 

 

Dobbiamo crescere ogni giorno nella fede ricordandoci che la fede, in quanto virtù teologale, non è mai troppa: non possiamo infatti avere mai troppa fede né troppa speranza né troppa carità. La fede non è mai troppa, tutt'al più sarà troppo poca: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe” – Lc 17,6.

 

 

 

Questa presenza nascosta e allo stesso tempo manifesta di Dio nella nostra vita diventa particolarmente forte nell'esperienza del dolore morale, dell'incomprensione, del fallimento, del limite, del peccato. È nel buio del tunnel della sofferenza che la nostra fede si affina, si consolida, si perfeziona.

 

 

 

Così come sarà solo sul Calvario che un uomo dirà: "Davvero costui era Figlio di Dio!" – Mc 27,55, è nell'esperienza della croce…

 

· come fallimento personale: "Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono" – Mt 26,56;

 

· come solitudine profonda: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" – Mt 27,46;

 

· come peccato personale: "Donna, non lo conosco!"…E, uscito, pianse amaramente" – Lc 22,57-62;

 

· come sofferenza atroce: "Gesù, emesso un alto grido, spirò" – Mt 27,50;

 

…che la nostra fede matura.

 

 

 

La nostra fede è una partecipazione alla consegna che Gesù morente fa di sé nelle mani del Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” – Lc 23,46. La fede è sempre una partecipazione alla Passione di Cristo, perché consiste nell'abbandonarci nelle mani del Padre e nell’essere poi dilaniati delle nostre contraddizioni. Dilaniati dal nostro egoismo, dalla nostra ignoranza, dai nostri rifiuti che fanno guerra continua alla fede.

 

 

 

Per questo la fede in Lui è apprezzata da Gesù e suscita in Lui ammirazione:

 

Mt 8 [5]Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: [6]”Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”. [7]Gesù gli rispose: “Io verrò e lo curerò”. [8]Ma il centurione riprese: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. [9]Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Fa’ questo, ed egli lo fa”.[10]All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande.

 

Mt 15 [27]”E’ vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. [28]Allora Gesù le replicò: "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita.

 

 

 

Gesù, poi, premia chi crede in Lui: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?” – Gv 11,40. Cioè vedremo i suoi prodigi nella nostra quotidianità, esperimenteremo il suo amore e quanto Egli è buono. La vita cristiana si dispiega sulle linee di questa esperienza di un Dio che si nasconde per darci nella fede la gioia di scoprirlo presente e operante.

 

 

 

Cosa si aspetta e desidera la Chiesa da ogni suo membro? Che abbia una fede viva! Soprattutto dai preti e dai religiosi!

 

Cosa il mondo attende dai cristiani? Si tratta di un’attesa non espressa, nascosta, sotterranea, inconscia, ma presente e reale. Cosa cercano da noi? Cosa desiderano in fondo da noi tutti, se non che siamo uomini e donne di fede? Uomini e donne di Dio che li aiutino a trovare Dio, a incontrarsi con Dio. Questa è la speranza nascosta nel cuore di ogni uomo e di ogni donna che dice di non avere fede: trovare qualcuno che lo aiuti a credere!

 

 

 

Maria Ssma, la Donna Nuova che

 

“…per la sua fede ed obbedienza generò sulla terra lo stesso Figlio di Dio, senza contatto con uomo, ma adombrata dallo Spirito Santo, come una nuova Eva credendo non all'antico serpente, ma, senza alcuna esitazione, al messaggero di Dio “ – LG 62

ci aiuti ad essere sempre più profondamente uomini e donne di fede, uomini e donne di Dio per la gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

 

Amen.

 

 

RITIRO SPIRITUALE OTTOBRE 2005

I LIVELLI DELLA FEDE IN DIO

 

Cerchiamo di capire cosa significhi e cosa implichi aver “fede” in Dio, credere in Dio. Vediamo subito che questa parola “fede” ha bisogno di essere precisata meglio. Moltissime persone infatti affermano di essere credenti, persone di fede, ma poi vediamo come questa affermazione trovi in ciascuno una realtà di vissuto diversa.

 

 

 

I LIVELLI DELLA FEDE

 

Il primo livello della fede è credere che esista Dio, credere che Dio c’è veramente. Ma come fa la persona umana a giungere a credere, a dire cioè “io credo che Dio c’è veramente”? Ecco essenzialmente abbiamo due modalità per giungere a fare questa affermazione, possiamo giungerci per ragionamento e possiamo giungerci per fede, per fede cioè non tanto perché ci ragioniamo su, quanto perché aderiamo con la nostra volontà alla nostra religione.

 

Bene, chiediamoci dunque quali sono dunque quei ragionamenti che mi portano ad affermare l’esistenza di Dio? Il libri sapienziali della Bibbia ci danno un aiuto con questi testi:

 

 

 

Sap 13 [1]Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio. e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere. [2]Ma o il fuoco o il vento o l’aria sottile o la volta stellata o l’acqua impetuosa o i luminari del cielo considerarono come dei, reggitori del mondo. [3]Se, stupiti per la loro bellezza, li hanno presi per dei, pensino quanto è superiore il loro Signore, perché li ha creati lo stesso autore della bellezza. [4]Se sono colpiti dalla loro potenza e attività, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati. [5]Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore. [6]Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero, perché essi forse s’ingannano nella loro ricerca di Dio e nel volere trovarlo. [7]Occupandosi delle sue opere, compiono indagini, ma si lasciano sedurre dall’apparenza, perché le cosa vedute sono tanto belle. [8]Neppure costoro però sono scusabili, [9]perché se tanto poterono sapere da scrutare l'universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?

 

Sal 19 [2]I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. [3]Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. [4]Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono. [5]Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola. [6]Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via. [7]Egli sorge da un estremo del cielo e la sua corsa raggiunge l'altro estremo: nulla si sottrae al suo calore

 

 

 

Una prima via quindi è quella dalle creature al Creatore. In questa prima via possiamo inserire anche altre considerazioni che mi portano poi ad affermare l’esistenza di Dio, quali ad esempio la contemplazione dell’ordine dell’universo e la contemplazione della bellezza delle creature.

 

La considerazione di come tutto l’universo si muove mirabilmente secondo un ordine, uno schema, una legge. Gli scienziati riescono appunto a capire come funzionano le cose perché esse seguono un ordine, una legge interna, ora non si dà un ordinamento senza un Ordinatore, non si dà una legge senza un Legislatore. Ecco allora Dio che viene colto come l’Architetto dell’universo.

 

La contemplazione della bellezza, dell’armonia del creato, tanto splendore, tanta bellezza, tanta armoniosa melodia richiama la persona ad una Bellezza, un’Armonia, uno Splendore eterno e perfetto da cui deriva ogni bellezza, armonia e splendore terreno.

 

Una seconda via per cogliere l’esistenza di Dio è quella della considerazione delle ingiustizie nel mondo, quante ingiustizie nel mondo, quanta gente che soffre e altra che gode, gente che è vittima di profonde ingiustizie e altri che sfruttano queste situazioni, se Dio non esistesse non ci sarebbe possibilità rendere giustizia a coloro che sono vittime di ingiustizie e di rendere giustizia a coloro che commettono ingiustizie.

 

Una terza via è quella dell’introspezione. La persona umana scendendo in se stessa trova una sete infinita di vita, di gioia, di amore, di pace, di realizzazione di sé che nessuna cosa o creatura o essere umano può saziare. La persona si sente fondamentalmente orientata verso una pienezza che non trova in niente e in nessuno e che coglie solo nella presenza trascendente di Dio. L’esistenza di Dio viene quindi postulata dalla pienezza di senso che la persona umana cerca in sé, senza Dio non ha senso nessuna vita umana. L’ateismo, il non credere in Dio è l’affermazione del non senso della vita ed è quindi una scelta incanalata verso la morte.

 

 

 

Conseguenze che sono implicate in questo primo livello di fede in cui la persona crede veramente che Dio esiste.

 

La prima conseguenza implicata nell’affermazione dell’esistenza di Dio è che noi non lo siamo, non siamo “Dio”. Ma cosa significa riconoscere che non siamo Dio? Significa ammettere che la nostra esistenza è dipendente da Lui, subordinata, riferita, vincolata a Lui e non siamo quindi noi padroni della nostra vita, la nostra vita non è nostra è sua. E quindi che c’è un progetto, un disegno, un desiderio di Dio sulla persona umana.

 

Allora vedete bene che essere persone veramente di fede significa essere persone che vivono senza dimenticarsi che la propria vita non è propria ma di Lui, senza dimenticarsi che Dio ha un progetto, un disegno, un desiderio su di lui. E quindi la persona di fede è una persona che cerca, in continua ricerca di scoprire questo progetto, questo desiderio. Dire di credere nell’esistenza di Dio e poi vivere senza cercare di scoprire i suoi desideri, il suo progetto, il suo disegno è vivere nella più profonde delle contraddizioni.

 

Costruire la propria esistenza solamente sui propri desideri, pulsioni e programmi significa in pratica ritenersi il dio della propria vita, un dio piccolo, però, molto piccolo con la “d” minuscola.

 

La persona umana non può sfuggire a quella domanda che Dio – quello con la “D” maiuscola – ha iscritto nel proprio cuore: “Cosa devo fare della mia vita?”. Dio è venuto in aiuto alla sua creatura che  dopo il peccato ha difficoltà a cogliere nella mente la volontà di Dio e ha regalato agli uomini la possibilità di conoscere tutti ciò che devono fare, questo dono è la sua LEGGE data a Mosè.

 

Ogni uomo, ogni donna può anche giungere a conoscere questa legge leggendo il proprio cuore, perché lì c’è scritto da quando siamo stati pensati da Dio, c’è scritto di amarLo, ringraziarLo, lodarLo, di rispettare e onorare i nostri genitori, di non uccidere né fare del male ad alcuno, di non rubare, non fare di nessuna persona umana un qualcosa da sfruttare o un oggetto di piacere, di non mentire, di non bramare ciò che non è proprio, la legge di Dio è lì, basta avere un cuore sincero per scoprirla, ma Dio ha voluto renderci facile il tutto e ce l’ha scritta Lui non solo nelle tavole del nostro cuore, ma anche nelle tavole di pietra che consegnò a Mosè.

 

Vedete, alle volte Dio non si cerca perché sotto sotto si sa che se lo trovo poi non posso più vivere come se non lo sapessi, non posso più fare quello che faccio, vivere come vivo senza essere in contraddizione con me stesso.

 

Ecco dunque, se il primo livello della fede è credere che Dio esiste, il secondo livello è quello di cercare di scoprire la sua volontà, di conoscere i suoi pensieri, vivere la sua legge.

 

 

 

Sal 119(118) [1] Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. [2]Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. [3]Non commette ingiustizie, cammina per le sue vie. [4]Tu hai dato i tuoi precetti perché siano osservati fedelmente… [12]Benedetto sei tu, Signore; mostrami il tuo volere. [13]Con le mie labbra ho enumerato tutti i giudizi della tua bocca. [14]Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni altro bene. [15]Voglio meditare i tuoi comandamenti, considerare le tue vie. [16]Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola… [32]Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore… [36]Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti e non verso la sete del guadagno. [37]Distogli i miei occhi dalle cose vane, fammi vivere sulla tua via…[105] Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino.

 

Il massimo dell’elevatezza spirituale della religione ebraica si avrà quando il popolo capirà che la stessa liturgia del tempio, gli stessi riti sacri a nulla servivano se non si ricercava con amore la volontà di Dio, il Salmo 40(39) esprime questa consapevolezza (tenete presente che le parole “sacrificio”, “offerta”, “olocausto” e “vittima” indicano solenni riti della liturgia ebraica che i sacerdoti svolgevano nel Tempio).

 

 

 

Sal 40(39) [7]Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. [8]Allora ho detto: “Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto, [9]che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore".

 

Os 6 [6]… poiché Io voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.

 

 

 

Se volessimo tradurre in linguaggio attuale questi brani dovremmo tradurli più o meno così: “Ho capito Signore che venire a Messa ogni domenica, recitare tante preghiere e Rosari a nulla serviranno alla mia anima se non mi decido seriamente a cercare la tua volontà e a metterla in pratica con amore”.

 

 

 

Il terzo livello della fede in Dio si vive poi quando la persona, non solo crede in Dio e cerca la sua volontà, ma lo riconosce anche come “Padre del Signore Nostro Gesù Cristo” (Col 1,3) e quindi lo riconosce come “Padre suo e Padre nostro” (Gv 20,17). Infatti non è esatto dire che il cristiano crede in Dio Onnipotente e Creatore di tutto, non è esatto, infatti noi non crediamo semplicemente in Dio Onnipotente, noi crediamo in “Dio Padre Onnipotente Creatore del cielo e della terra”.

 

Questo è il terzo livello della fede: la conoscenza intima di Dio come “Padre” e quindi il relazionarmi con Lui in quanto “figlio nel Figlio”:

 

 

 

Ef 1 [3]Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. [4]In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, [5]predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo…

 

Gv 1 [9]Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. [10]Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. [11]Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. [12]A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, [13]i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.

 

 

 

Bisogna però stare bene attenti a non fare salti di livelli, perché sono livelli successivi e compenetranti. Non posso essere nel secondo livello di fede senza essere ben fondato nel primo, così come non posso essere pienamente nel terzo livello senza essere fondato nel primo e nel secondo.

 

Un esempio servirà a comprendermi meglio.

 

Ecco, l’esempio: una persona che non ha fatto pienamente l’atto di credere in Dio come un “Altro” assoluto ed esistente, come Colui che l’ha creato e Colui dal quale dipende la propria esistenza, al Quale riferire, orientare la propria vita, sul Quale fondare la propria esistenza, non potrà essere pienamente nel secondo livello dove, se si è coerenti, si è pronti a morire, a dare la vita per poter osservare la Legge di Dio! Non avendo un primo livello di fede ben fondato la persona seguirà nella propria vita la Legge di Dio finché essa non sarà scomoda e faticosa, e sarà invece pronta a scriversi lei una legge personale per ovviare alla fatica e pesantezza percepita nella Legge.

 

Sarà quindi solo la convinzione profonda della persona che riconosce di non essere Dio e quindi neanche padrone della propria esistenza, che riconosce che Dio, in quanto l’ha creata, ne sa più di lei su come funziona la vita umana, sarà questa convinzione profonda a far sì che la persona si metta con tanta umiltà davanti a Dio desiderosa di conoscere e vivere la sua volontà, la sua Legge.

 

Solo la persona che è ben radicata nel secondo livello della fede può aprirsi bene al terzo livello che è quello al quale il Signore Nostro Gesù Cristo ci invita, è il livello della fiducia, della confidenza e dell’abbandono alla sua provvidenza, già insegnato dai profeti del VT ma proposto in modo pieno e perfetto da Gesù.

 

Mt 6 [25]Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? [26]Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? [27]E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? [28]E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. [29]Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. [30]Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? [31]Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? [32]Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. [33]Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. [34]Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.

 

Mt 6 [7]Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. [8]Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. [9]Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; [10]venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. [11]Dacci oggi il nostro pane quotidiano, [12]e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, [13]e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.

 

 

 

 

 

 

 

DOMANDE PER LA RIFLESSIONE PERSONALE

 

 

 

· Credo veramente in Dio che mi ha creato?

 

· Quali sono i ragionamenti che più mi spingono a credere in Dio Creatore?

 

· Cerco la sua volontà, la sua Legge? Quanto impegno metto in questo? C’è in me un forte desiderio di conoscere quanto Dio vuole da me?

 

· Di fronte alla Legge di Dio, di fronte a ciò che è cosa grave e non si deve fare, sono pronto a morire pur di non commettere un peccato grave?

 

· Sento la paternità di Dio su di me? Credo nella sua provvidenza?

 

· Nella mia preghiera come mi relaziono con Dio Padre?

 

 

RITIRO SPIRITUALE NOVEMBRE 2005

IL REGNO

 

Ogni Anno Liturgico si conclude con la Solennità di N. S. GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO. Al grido di “Cristo Re” morirono numerosissimi durante la persecuzione messicana. Gesù è “RE”.

 

Per comprendere meglio la regalità di Gesù, che è manifestazione della sua divinità, bisogna entrare nella comprensione del termine “regno di Dio”. Oggetto particolarissimo della predicazione di Gesù, infatti, è stato il “REGNO”.

 

Gli Evangelisti Luca e Marco parlano di questo Regno come del “Regno di Dio”, Matteo più attento alla delicatezza dell’uso ebraico di non pronunciare mai il nome santissimo di “Dio” – perché pronunciarlo sarebbe già come bestemmiarlo – ne parla come il “Regno dei cieli”.

 

Nell’insegnamento di Gesù, il Regno di Dio si presenta anzitutto come un intervento di Dio nel corso della storia. Questo è vero anche dell’AT; ma nel NT l’intervento si manifesta nella venuta del Figlio di Dio.

 

Quando Gesù, il Maestro, parlava del “Regno del Padre” si capisce che evocava una realtà ben nota ai suoi uditori. Nondimeno la si trova solo raramente nell’AT, ma l’idea che essa racchiude invece vi ha un grande posto e si può dire che la maniera con cui il NT ne parla ha, nell’AT, radici profonde.

 

Nella Storia della Salvezza noi vediamo come Dio voglia stabilire il suo Regno in mezzo agli uomini. “Regno” richiama “autorità” – “potere” – “dominio”, ora questo regno di Dio non è però un regno alla maniera umana, ma tutta sua (Gv 18,36): è “autorità” che non opprime, ma serve (Lc 12,37; 22,24ss) è “potere” che non schiavizza, ma libera (Gv 15,15); è un “dominio” che non schiaccia, ma innalza (Sap 11,21-26).

 

I PROFETI più antichi avevano visto questo Regno come il giudizio di Dio su Israele e i peccatori, i PROFETI più recenti vedevano questo Regno in un mondo ricreato che vive all’ombra della presenza di Dio.

 

Gli autori APOCALITTICI descrivono lo stabilirsi del Regno secondo lo scenario di una catastrofe cosmica.

 

Nei libri SAPIENZIALI il Regno di Dio è presentato il frutto della realizzazione progressiva del piano stabilito dalla sapienza divina che aveva messo la sua tenda in mezzo al popolo d’Israele e che si identificava con la Legge che Dio aveva donato al suo popolo attraverso il ministero di Mosè.

 

Il NT, infine, annuncia il Regno come imminente in forza della morte e risurrezione del Cristo, o come già avvenuto nella sua persona, e pone l’accento sul suo carattere essenzialmente interiore, fondato sulla carità. Il nostro mondo cristiano vive nell’attesa della manifestazione piena di questo regno alla fine dei tempi.

 

Questi sono gli aspetti che l’espressione “Regno di Dio” contiene. Non c’è contraddizione fra essi; non differiscono completamente gli uni dagli altri, anche se non sono identici. Legati gli uni agli altri, dipendono l’uno dall’altro, costituiscono delle tappe nella realizzazione progressiva di quella comunione di vita che Dio ha voluto stabilire tra sé e l’umanità.

 

Il popolo di Israele aveva concepito dapprima la regalità di Dio come una realtà attuale, che si manifestava nel tempo a lui presente. Considerato in questo modo, il Regno di Dio era legato al destino di Israele, perché era in mezzo al suo popolo che Dio si rendeva presente. Questa presenza era localizzata nell’arca dell’alleanza che in un primo tempo era errabonda in mezzo al suo popolo e custodita nella tenda del tabernacolo. Con la costruzione del Tempio da parte di Salomone questa presenza si rese ancora più localizzabile e indicabile in quella parte più sacra di esso in cui l’arca veniva custodita. Era questa presenza che dava a Israele la coesione e ne faceva un popolo.

 

Ma questa prima comunità di Dio era solo un SEGNO. Preannunciava un nuovo Regno di Dio, più interiore e universale. Dio sarebbe stato presente non solo al suo popolo in quanto tale, ma a ciascuno dei suoi membri. Meglio ancora sarebbe stato in essi sotto una nuova alleanza. Tutti gli uomini, e non più solo i figli di Abramo, avrebbero potuto desiderare di unirsi a lui.

 

Fu nel crogiolo dell’esilio che Israele acquistò questa nuova comprensione del suo destino. La gloria di Dio aveva abbandonato il Tempio (Ez 10,18-19), l’arca era scomparsa, il tempio stesso era stato distrutto. Nel piano di Dio questi tristi eventi furono la prova purificatrice destinata a far maturare la mentalità del popolo in vista di nuove grazie e di più ricche benedizioni. Di fronte alla rovina della monarchia Israele comprese meglio e in maniera più profonda dove si situava la tenerezza e la fedeltà di Dio. Era nato un Israelita spirituale che si sviluppò in una coscienza più profonda della vicinanza di Dio, Geremia – Ezechiele – il Deutero Isaia preparano il popolo alla venuta di un regno rinnovato e ampliato. Da questo momento il regno di Dio apparve come una realtà del mondo futuro, una realtà che non si sarebbe più limitata ad Israele, ma che avrebbe compreso tutti i popoli.

 

I SALMI del regno hanno particolarmente sottolineato l’avvento futuro del Regno di Dio. E’ Dio stesso che stabilirà il suo regno sulla terra; non viene fatta allusione al Messia. E’ Dio che regnerà, vestito di maestà; è lui che giudicherà le nazioni. La venuta di Dio e l’insediamento del suo regno assumeranno la forma di un tremendo giudizio; ma contemporaneamente significheranno anche grazia e salvezza (Lc 2,34): Dio regnerà nella giustizia, nella pace e nella bontà. Ecco perché questi salmi uniscono a una gioia traboccante, un sentimento molto forte di paura, e persino di terrore, di fronte alla sua venuta maestosa.

 

Dopo secoli di preparazione, il popolo giudaico viveva in una accentuata attesa del Regno di Dio. Molto spesso questa attesa assunse un tono politico: si sperò che la monarchia davidica venisse restaurata. Ma le anime più profondamente religiose videro nel regno una realtà essenzialmente interiore: obbedire alla Legge significava mettersi sulle spalle il giogo leggero del Regno di Dio.

 

Poiché Gesù è Dio e in lui Dio è disceso sulla terra, dovremmo imparare a trovare in lui il compimento delle promesse: Dio che viene in persona per stabilire il suo Regno tra gli uomini.

 

Ora di questo Regno Gesù ci ha parlato come

 

* a un uomo che "uscì a seminare“ e sparse il suo seme dovunque ma crebbe solo sulla terra buona (Mt 13,3ss);

 

* “a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo”, ma vede crescere in esso anche l’erba cattiva (Mt 13,24ss);

 

* “a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami” (Mt 13,31-32);

 

* “al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti" (Mt 13,33);

 

* “a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (Mt 13,44);

 

* “a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” (Mt 13,45-467;

 

* “a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (Mt 13,47ss).

 

* “a un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce” (Mc 4,25-26)

 

* “a un re che volle fare i conti con i suoi servi”(Mt 18,23);

 

* “a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio”, ma gli invitati si scusano e non partecipano provocando l’ira del re che chiamerà così alla festa i poveri e gli ultimi (Mt 22,2ss);

 

* “a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna”(Mt 20,1);

 

* “a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo”, ma, “cinque di esse erano stolte e cinque sagge” (Mt 25,1ss);

 

* “a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni” (Mt 25,14ss).

 

Gesù parla ancora del Regno come proprietà dei poveri e dei perseguitati: vostro è il regno (Lc 6,20).

 

Ci dice ancora che difficilmente un ricco potrà entrarvi (Lc 18,25) e sarebbe meglio per noi tagliarci una mano un’arto e entrarvi monchi piuttosto che rimanervi fuori (Lc 9,43).

 

Per entrarvi è necessario una rinascita nell’acqua e nello spirito (Gv 3,5), e che questo regno è dei piccoli e dei bambini e se non diventiamo come loro non vi entreremo (Lc 18,17).

 

E’ un regno che soffre violenza e solo coloro che si sforzano e si fanno violenza vi entreranno (Mt 11,12)

 

Se cercheremo questo regno con tutte le nostre forze ogni cosa ci verrà data in più (Mt 6,33)

 

Entreranno in questo regno i “benedetti” che lo avranno sfamato e dissetato, vestito, alloggiato e visitato nei suoi fratelli più piccoli (cfr Mt 25,31ss)

 

Le opere di Gesù dicono tutto il contenuto di questo REGNO, che è una battaglia contro ciò che opprime l’uomo. Inizia infatti con guarire i malati, perdona i peccatori, risuscita i morti, giudica severamente i prepotenti, vince satana… e alla fine, con la sua resurrezione, vince anche la padrona del mondo che è la morte. La sua vicenda umana esprime altresì l’appoggio di Dio ad ogni causa di liberazione ed elevazione umana. La sua morte e resurrezione rivelano come abbia capovolto le sorti degli uomini e della storia.

 

Il Regno si semina nella storia, si affianca ai ritmi delle nostre libertà umane perché ne vuole accoglienza e collaborazione, Cristo è stato l’inizio; poi viene il tempo di una lunga battaglia guidata da lui come Signore risorto e vivo; alla fine – dopo aver sconfitto ogni nemico dell’uomo e di Dio – il Regno si rivelerà come la realtà vincente, unica e definitiva. E’ un’opera discreta, velata, per non forzare la libertà d’ognuno. Ma non meno puntigliosa e inarrestabile.

 

Un giorno quel che oggi è velato si manifesterà. Quel castello di menzogne, di falsi valori, di manipolazioni supponenti e prepotenti che distolgono l’uomo dalla verità e dal bene, sarà smontato e apparirà “il Figlio dell’uomo nella sua gloria con tutti i suoi angeli” (Mt 25,31), quale giudice supremo e insindacabile di ogni uomo. Allora apparirà come non sia cosa indifferente fare il bene o il male; come non sia soggettivo, istintivo e capriccioso gestire la propri vitra e la storia; come sia stata grande illusione e creduloneria fidarsi delle mode, dei persuasori televisivi, degli incantatori al permissivismo, al disimpegno, alla furbizia…! E per i giusti sarà il giorno della verità e … della rivincita! Allora si dirà: “Chi aveva ragione?” E i giusti e i piccoli si rallegreranno! A loro sarà diretta la voce del Signore che dirà: «Venite, benedetti!» (Mt 25,34) agli altri giungerà la stessa voce ma con ben altro detto: «Via da me, maledetti!» (Mt 25,41). «Maledetti!». “Maledetto” disse Dio al serpente che portò l’uomo alla morte (Gen 3,14); “maledetto” disse Dio a Caino che aveva ucciso il fratello (Gen 4,11); “maledetto” dirà Gesù a chi avrà disprezzato anche uno solo dei suoi fratelli più piccoli (Mt 25,41).

 

Camminando verso quel giorno il Signore Gesù ci ha invitato a pregare il Padre perché venga presto questo giorno (Mt 6,10) in cui “egli consegnerà il regno a Dio Padre” e avrà “posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte… e quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,24-28)

 

Nel frattempo che questo avvenga, egli ci ha detto di non scoraggiarci perché questo regno è già presente nel mondo (Lc 17,21) ed è un Regno aperto a tutti (Lc 13,28) e le sue porte si aprono immediatamente a chi con fiducia invoca il nome di Gesù come lo invocò il ladrone pentito che sulla croce disse: «Gesù di ricordati di me quando sarai nel tuo regno» (Lc 23,42).

 

Una domanda dobbiamo porci tutti al termine di quanto detto: siamo uomini e donne del Regno? o meglio desideriamo appartenere veramente a questo Regno. Uomini nuovi e donne nuove che hanno nel cuore, nella mente, nell’anima il Signore, che desiderano annunciare a tutti questo Regno, Regno di semplicità e di verità, di umiltà e di servizio, di purezza e gioia. Essere testimoni autentici, veri, credibili di questo Regno, ecco l’invito, ecco il desiderio, ecco la missione, ecco la vocazione che Gesù dona oggi a tutti noi: portare a tutti l’annuncio di gioia che il regno di Dio è in mezzo a noi!